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La borghesia voleva esistere, essa rappresentava la nazione, e da lei uscirono filosofi, cospiratori e martiri. Costoro oppressi dal dispotismo non ebbero campo sufficiente a spiegare l’ingegno, e come pensatori rimasero interdetti. Essi furono e sono i propugnatori della rivoluzione dell’89, meno il sangue, ed i proclamatori delle formole di diciotto secoli fa, mascherate con altre parole.

Infine hanno predicato e predicano il progresso, proponendo come mezzo le antiche massime del Vangelo, e come fine la costituzione dell’89, già trasformata in tirannide. Queste sterili dottrine non poterono generare concetto veruno, ma inorpellate da belle parole, ridotte a forma di poesia, preoccuparono i cuori sensitivi della gioventù italiana, la quale in queste mistiche declamazioni unicamente imparava l’odio contro il passato, che in tutta la forza delli abusi era riassunto e rappresentato dai governi. Si fecero a cospirare, e come cospiratori spiegarono maggiore abilità di quello che non avevano mostrato come filosofi. Ma tutti i moti iniziati in Italia dopo il quindici, più meno vasti, caddero tutti, dappoichè essi attaccavano la forma del despotismo e non già il despotismo medesimo. La parola democrazia di cui si servivano, suonava per essi il regno della borghesia, la quale benchè oppressa politicamente, regnava per la costituzione sociale; quindi si trattava di transazioni o di cambiamenti d’individui. Ma i tirannelli d’Italia, protetti dall’Austria, erano troppo forti perchè potessero essere abbattuti da un movimento, il quale non si comunicava alle masse. Per tal guisa la classe media, che in Francia opprime ed avvilisce la nazione, in Italia invece diede nobilissime vittime. Intanto ad ogni loro conato, e ad ogni vittoria, il despotismo infieriva e diventava più ingordo; quindi maggiormente si fortificava nei cuori l’odio contro di esso, e cominciava a passare nelle masse, le quali forse non comprendevano quello che dalli agitatori si voleva, ma cominciava a sen-