Saggio critico sul Petrarca/Nota
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NOTA
Alle prime e piú essenziali notizie sull’origine e la fortuna del Saggio critico sul Petrarca, contenute nell’«Appendice», sono da aggiungere alcune precisazioni che si desumono da lettere del D. S. agli amici e degli amici a lui. Nell’inverno i858-59 il D. S. tenne sul Petrarca un corso straordinario di conferenze, indipendente dalle lezioni pubbliche che teneva contemporaneamente al Politecnico di Zurigo: in una lettera ad A. C. de Meis del 7 novembre i858 preannunziava all’amico come data d’inizio delle conferenze petrarchesche il 24 di quel mese. Poteva poi scrivere il 14 febbraio i859 allo stesso De Meis: «Ho terminato le mie lezioni sul Petrarca. Ho lasciato da parte le poesie politiche: e come far comprendere a tedeschi la canzone all’Italia?» E piú avanti, nella medesima lettera: «...dimani comincerò ad ordinare le lezioni sul Petrarca, che si stamperanno qui in tedesco». Il corso era dunque terminato nella prima quindicina del febbraio ’59, e subito il critico attese alla correzione delle sue conferenze in vista di una edizione tedesca, che non si fece ma per la quale corsero trattative, come si ricava anche «da una lettera al D. S. (da Schaffausen, 2i luglio ’59) di un J. Freytag, che, su notizie avute dal signor Schabelitz, indica i nomi di parecchi editori tedeschi (Baumgartner e Tauchnitz di Lipsia, Franz di Monaco, Münster di Venezia)» (v. Lettere dall’esilio — i853-i860 — raccolte e annotate da B. Croce, Bari, Laterza, i938, p. 23i).
Il primo quesito che si pone è dunque questo: in quale rapporto stavano le lezioni pronunciate davanti al pubblico zurighese e la trascrizione che l’autore venne correggendo appena ebbe terminato il suo corso. Nell’«Appendice» il D. S. scrisse semplicemente che «le conferenze furono raccolte da uno de’ suoi piú stimati amici, Vittorio Imbriani»; ma in una lettera al De Meis del 19 ottobre i855 lo stesso Imbriani, insieme con altre affermazioni che, per il tono acre col quale vennero dettate e per quello che sappiamo dei suoi rapporti col maestro negli ultimi anni, vanno prese con molta cautela, portava questa precisazione: «Io non raccolsi, propriamente, le lezioni. Ma la dimane di ogni conferenza andava da lui, a prima ora: ed egli dettava tutto il discorso della sera precedente». Cosi si ebbe la prima stesura del Saggio; e certamente la dettatura fatta all’Imbriani doveva serbare il fervore che sorprendeva gli ascoltatori e che il D. S. spiegava scherzosamente definendosi «une machine á leçons» (v. lettera ad A. C. de Meis del 3i dicembre i858). È sicura poi un’altra testimonianza dell’Imbriani: che il D. S. rilavorò tutto il manoscritto, riscrivendolo da cima in fondo, di pugno suo, e dalle lettere dello stesso D. S. risulta con quale ritmo egli portò avanti la sua revisione: il 9 marzo annunziava al De Meis di essere alla quarta lezione; il 2i aprile di stare per finire il Saggio, non restandogli che tre lezioni. Le vicende della guerra in Italia lo appassionarono poi al segno che egli provò insofferenza della revisione del Saggio e di tutto il suo lavoro letterario (v. lettera al De Meis del 9 giugno); ma il 26 giugno comunicava all’amico: «Ho terminato alfine questo maledetto Petrarca, dove tutto rivela la svogliatezza e le preoccupazioni, in mezzo alle quali è stato scritto. Nella prossima settimana comincerá la traduzione». Della traduzione non si può dir nulla di preciso; ed è probabile che nemmeno si cominciasse. Invece il manoscritto fu mandato agli amici De Meis e Marvasi, che diedero pareri assai favorevoli, avanzando solo qualche riserva su alcune espressioni che sonavano troppo pedestri. Il D. S., mentre autorizzava gli amici a correggere, difendeva quelle «forme volgari» che aveva usate «con intenzione» per «uscire un po’ da questa maestá e dignitá convenzionale della nostra prosa» (v. lettera a Diomede Marvasi del 3i gennaio i860); e non è da escludere che allora corressero trattative per la stampa in Italia, se giá il i2 marzo ’59 il De Meis aveva proposto di farsi intermediario presso un editore italiano e se in una lettera del i2 ottobre ’59 all’amico l’autore suggeriva una correzione al manoscritto, che, per la sua minuzia, non poteva essere proposta se non in vista di una prossima edizione.
L’Imbriani, nella lettera sopra citata, afferma: «Il manoscritto fu offerto al Lemonnier, che voleva darne cinquecento lire. E ricordo che il Marvasi (a torto!) distolse il D. S. (che avrebbe accettato!) dallo stringere il contratto, chiamando questa ‘una impertinenza’». Qualunque sia stata la ragione per la quale allora non si stampò in Italia (ma non si deve dimenticare che negli ultimi mesi trascorsi a Zurigo giá il D. S. era preso da altri pensieri, e che col ritorno in Italia cominciò il periodo piú intenso della sua attivitá politica), il Saggio non rimase del tutto dimenticato: nel i866 infatti l’autore ne pubblicò un capitolo — il IX: Morte di Laura — nel «Politecnico» (Serie IV, vol. I [maggio i866], pp. 735-748), piú di due anni prima di accordarsi con il Morano per la edizione in volume. Non è dunque esatto quello che scrisse il D. S.: che le conferenze dell’inverno ’58-59 «giacquero dimenticate per undici anni». Ma non sappiamo condividere il parere del Croce, il quale ha scritto: «... nel i868, avendo il D. S. ripreso dopo lunga interruzione, dovuta alla sua vita politica, gli studii letterarii, elaborò in forma di libro il materiale di lezioni, conservatogli dall’Imbriani»1. A rendere dubbiosa, anzi — a nostro avviso — infondata l’ipotesi d’una nuova elaborazione nel ’68 sta quello che altrove il Croce stesso ebbe a dichiarare circa le poche pagine superstiti del manoscritto. Riordinando i manoscritti desanctisiani che furono prima donati al Museo di San Martino di Napoli ed ora sono passati alla Biblioteca Nazionale di quella cittá, il Croce assegnava alle carte del periodo i854-59 «alcune pagine del Saggio sul Petrarca» (v. Gli scritti di F. d. S. e la loro varia fortuna, Bari, Laterza, i9i7, p. 28). Si tratta di 2i pagine, numerate da 58 a 78, che contengono parte del settimo capitolo (per intero proprio tutta la trattazione della poesia patriottica) e l’ottavo, e dal confronto con la prima stampa in volume risulta chiaro che è questo il manoscritto dato in tipografia, perché, a parte i trascorsi di penna ed alcune minime correzioni che poterono essere portate sulle bozze, vi si notano le forme tipiche (uso di doppie e di scempie, di «de» e «dei», «a’» e «ai», ecc.) che si trovano nella stampa del ’69. Ma, come s’è detto, era uscito giá nel «Politecnico» del i866 il capitolo IX; e dalla collazione di questo capitolo nella redazione del «Politecnico» e in quella della stampa in volume (collazione che non era stata fatta da chi prima di noi curò le varie ristampe del Saggio), non risultano differenze che autorizzino a pensare a una nuova elaborazione avvenuta nel ’68. Risulterá anzi dal nostro apparato che il D. S. non perfezionò nulla della redazione stampata nel ’66, tranne un punto in cui il tipografo aveva frainteso il manoscritto, mentre nel volume lasciò correre qualche piccolo errore che non era nel testo dato al «Politecnico».
Del resto proprio nelle raccomandazioni che il D. S. faceva da Firenze nell’estate del ’68 all’amico Beniamino Marciano, che s’interessava in Napoli della stampa del Saggio, ci sembra di vedere confermata la tesi che in tipografia non venisse dato un manoscritto preparato di recente, ma o quello del ’59 o una sua copia fatta allora o poco dopo dall’autore stesso: «Non dimenticare — scriveva il D. S. — di mandarmi le bozze appena le avrai raffrontate col testo, e di non farmi guastare l’originale, tutto di mio pugno e perciò ricordo di famiglia.» E in un’altra lettera (in data 2... i868): «Per mezzo del nostro Abignente avrai avuto le prime bozze del Petrarca... Vorrei che le bozze, prima che mi sieno inviate, fossero purgale di errori di stampa, e raffrontate coll’originale, che io non ho presente. Tranquillo da questo lato, potrei fare mutamenti o aggiunte, che del resto saranno rare.».
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Il Saggio critico sul Petrarca venne dunque stampato mentre si attendeva alla seconda edizione dei Saggi critici, presso il Morano, e apparve nel i869. Questa edizione (che d’ora innanzi indicheremo con la sigla P) in i6° di pp. XL-309, portava la dedica, che fu ripetuta nella seconda edizione e nelle sue ristampe stereotipe: A — mio padre Alessandro — e a mia moglie Marietta — i due miei amori — superstiti. — Come introduzione, col titolo «La critica del Petrarca», vi era riprodotto l’articolo «Petrarca e la critica francese», apparso nella «Nuova Antologia» del settembre i868 (voi. IX, pp. 5-22) a proposito del libro di A. Mézières, Pétrarque, Étude d’après de nouveaux documents, Parigi, Didier, i868). Circa questa introduzione va detto che, a parte il titolo modificato e la soppressione di una breve nota bibliografica dove si accenna al Fracassetti, il D. S. non portò modificazioni sostanziali al testo dato alla «Nuova Antologia»: uniformò solo la grafia al suo uso prediletto nei plurali di tipo «studii», «giudizii», «ordinarii», ecc. mutò un «destruttiva» in «di struttiva» (p. 2i, r. i), ma è evidente che consegnò al tipografo napoletano o il fascicolo stesso o un estratto, come risulta, oltre che da esatte concordanze, da un indizio indubbio: il tipografo della «Nuova Antologia» in fine di riga aveva stampato «lo impulso» (p. i8, r. 32) e questa forma, inconsueta al nostro autore, rimase, pur nel corpo della riga, nell’edizione del ’69, alla quale non dovette toccare una revisione accuratissima se vi si notano alcuni refusi che non erano nella rivista; per esempio: «Comincio» per «Comingio» (p. io, r. i5), «L’inderminato» per «L’indeterminato» (p. 20, r. 3). L’introduzione fu poi ristampata nel volume dei Nuovi saggi critici, Napoli, Morano, i872, alle pp. 259 (nell’indice, erroneamente: 254)-282: nell’apparato indichiamo questa ristampa con la sigla Ns.
Ma il D. S. curò poi una seconda edizione del Saggio presso lo stesso editore Morano, nel i883, aggiungendo la «Nota dell’Autore» all’introduzione, l’«Appendice» in cui è narrata l’origine del Saggio, e due noterelle a piè di pagina, e portando alcune correzioni non sostanziali. Come ha osservato il Croce (v. Una famiglia di patrioti, cit., p. 249, n.) il D. S. dovette preparare questa ristampa «nei primi mesi di quell’anno, perché vi si allude [nella «Nota»] alla conferenza sullo Zola, del i879, chiamandola ‘l’ultima mia conferenza’: mentre l’ultima fu poi quella sul Darvinismo nell’arte, fatta nel marzo del 1883.» Questa edizione in i6 0, di pp. 3i9 (che noi indicheremo con la sigla S) ebbe varie ristampe stereotipe, e, rappresentando l’ultima volontá dell’autore, fu seguita dal Croce nell’edizione da lui curata (Napoli, A. Morano, i907, in i6 0, di pp. xx-313). Dei criteri seguiti dal Croce nella sua ristampa (che indicheremo con la sigla Cr) conviene riportare quello che egli stesso scrisse a questo proposito: «Ho, anzitutto, confrontato le due edizioni del i869 e del i883, contrassegnando le parti aggiunte nella seconda; e del confronto mi sono giovato per correggere alcune mende tipografiche. Altre correzioncelle di evidenti errori ho anche introdotte, avvertendone o no il lettore secondo l’importanza del caso; e ho abbondato, un po’ piú che il D. S. non solesse, nei segni di punteggiatura. Ho riformato alquanto la disposizione tipografica, mettendo i capitoli a capo di pagina, e lo scritto sulla Critica del Petrarca come introduzione, e correggendo l’errore di numerazione pel quale, nelle due edizioni precedenti, il capitolo VIII non aveva numero, il IX era numerato come VIII, e da esso si saltava all’XI... Ma le maggiori cure le ho date ai versi e componimenti del Petrarca e di altri poeti, che nel libro sono riferiti in gran copia. In codesti riferimenti gli errori erano parecchi; e sono stati anche, talvolta, rinfacciati con acredine al D. S., quasi effetto d’ignoranza o di poco amore. Ma il vero è che essi erano, per contrario, effetto di troppa conoscenza e di troppo amore; perché il D. S., sapendo a memoria il suo Petrarca, lo citava a memoria, e soggiaceva agli scherzi che la memoria fa a tutti, anche agli uomini piú memoriosi. Cosi gli accadeva di scrivere: «infinita è la turba», invece di: «infinita è la schiera» degli sciocchi; «dopo le notti vanamente spese», invece di: «dopo le notti vaneggiando spese»; o nei versi: «La voglia e la ragion combattut’hanno Sette e sett’anni...», di compiere un’operazione aritmetica e scrivere: «Quattordici anni...»; o, infine, nel sonetto. O cameretta..., al verso i3, dove si dice: «Chi ’l pensò mai?» sostituire, nella citazione e nel concetto: «Chi il crederia?», incorrendo perciò nel biasimo del Cerquetti, che s’avvide dello scambio. Naturalmente, questi versi e componimenti sono stati da me riveduti, non sulle recenti edizioni critiche, ma sui testi che correvano al tempo del D. S., e che egli dovette avere tra mano: cioè per le rime del Petrarca mi sono valso di una delle edizioni del Le Monnier (3ª i85i), pel canzoniere di Dante dell’edizione Fraticelli, e per le rime dei poeti del primo secolo, del manuale del Nannucci.» (v. Una famiglia di patrioti, cit., pp. 25i-252).
Riprodusse l’edizione del Croce, Nino Cortese (vol. VII delle «Opere complete» del D. S., Napoli, A. Morano, 1932, in i6°, pp. xii-293), che, per quanto concerne il testo, non portò veramente quei perfezionamenti che il Croce si augurava, e lasciò anzi inserire qualche lieve svista. Su questa edizione del Cortese fu esemplato il testo curato poi da L. G. Tenconi (F.D.S., Saggi e scritti critici vari, vol. I, Sesto San Giovanni - Milano, Barion, i936, in i6°, di pp. 462; il Saggio occupa le pp. 15-262); ma il nuovo editore corresse congetturalmente alcune sviste, e, evidentemente, tenne presente per l’introduzione il testo dei Nuovi saggi critici. Recentemente Niccolò Gallo ha curato una nuova edizione, con introduzione di Natalino Sapegno (Torino, Einaudi, i952, in i6°, di pp. xxi- 266), e, pur accettando in linea di massima i criteri del Croce, ha riprodotto con piú scrupolosa fedeltá S, non accettando né tutte le correzioni introdotte dal Croce né la sua minuziosa punteggiatura. Indicheremo rispettivamente con le sigle Co, T, G le edizioni del Cortese, del Tenconi e del Gallo; mentre useremo le sigle R per le parti pubblicate anticipatamente in rivista («Nuova Antologia» e «Politecnico»); e Ms per le pagine superstiti del manoscritto.
Non abbiamo tenuto conto delle antologie desanctisiane nelle quali sono riprodotti brani del Saggio, perché anche quando si tratta di scelte scientificamente pregevoli non apportano nessun elemento filologicamente utile. Altra considerazione merita tuttavia la Scelta di scritti critici di F. D. S. a cura di Gianfranco Contini, Torino, Unione Tipografico-editrice Torinese, 1949. Il Contini, pur riconoscendo non irreprensibile l’edizione del Cortese, l’ha generalmente seguita nella sua scelta. Cosi ha fatto anche per il capitolo V del Saggio e per la Nota all’Introduzione, salvo che egli ha restaurato la lezione di P e S «l’epigramma» in quella proposta dal Croce e seguita da noi: «il madrigale» (p. 88, r. 34). Ma per l’Introduzione su La critica del Petrarca il Contini ha tenuto conto della prima stampa nella «Nuova Antologia» e dei Nuovi saggi critici (ed. i879). Indichiamo l’edizione del Contini con la sigla Cn.
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Resta ora da dire brevemente dei criteri seguiti nella nostra edizione.
Abbiamo, innanzi tutto, inteso di riprodurre con la maggiore fedeltá S, e dalla collazione di Ms, P, R, Ns. non abbiamo tanto inteso di ricavare un elenco di varianti quanto gli elementi utili per perfezionare il testo di S, riducendo al minimo gli interventi congetturali e le correzioni. Oltre ad adottare i principi fissati da Luigi Russo nella sua edizione dei Saggi critici circa i plurali in -ii, l’uso incerto di j consonantico e di i, ecc., abbiamo rispettato gli usi oscillanti dell’autore. Cosi, secondo S, abbiamo dato: «lacrima» e «lagrima»; «de’» e «dei»; «ne’» e «nei»; «diritto» e «dritto»; «contraddittorio» e «contradittorio»; «rimaso» e «rimasto»; «giovine» e «giovane»; «oblio» e «obblio»; «sopratutto» e «soprattutto»; «aver» e «avere»; ecc. E altrettanto abbiamo rispettato le forme arcaicizzanti o poco usate che il D. S. predilesse, come «avoltojo»; «riempiere»; ecc. Nell’uso della punteggiatura ci siamo attenuti il piú possibile al D. S., il quale non abusò di virgole, punti e virgola, doppi punti, per la natura stessa del suo dettato, conservante il calore dell’improvvisazione. Il Croce, seguito dagli editori posteriori, ha abusato di segni d’interpunzione, obbedendo al suo gusto di scrittore piú riflessivo e pacatamente discorsivo. Ossi abbiamo creduto di usare le virgolette solo lá dove si dia vera e propria citazione o l’autore voglia porre in rilievo una sua battuta. Sovente il D. S. non intendeva citare, ma assimilava nel suo discorso parole e frasi di classici, e in questi casi l’uso delle virgolette farebbe sospettare una civetteria o almeno un’esibizione di sapere che veramente non era nelle intenzioni dello scrittore. Dove poi si poneva l’opportunitá di correggere abbiamo usato molta cautela: a un editore moderno del D. S. si pone infatti un problema diverso da quello che preoccupò il Croce. Nel i907 l’opera del D. S. doveva ancora essere difesa da quanti, eredi di un diverso metodo, prendevano scandalo dei lapsus e delle trascuratezze del grande critico, e le correzioni del Croce risposero anche a un opportuno sentimento di affetto alla memoria del maestro. Oggi il D. S. è un classico, e come tale va letto: interventi nella sua prosa ci sembrano non piú un atto di rispetto, ma illegittime falsificazioni, tranne nei pochissimi casi — e qui abbiamo fatto tesoro del Croce — nei quali un errore materiale si è riprodotto da una stampa all’altra, come, per esempio, nella numerazione o errata o mancante delle rime petrarchesche. Anche per quanto concerne la questione delle citazioni non abbiamo perciò adottato in tutto il criterio del Croce, seguito dai successivi editori, di restaurare tutto secondo i testi ai quali il D. S. dovette ricorrere. Andava risolta la questione della diversa grafia delle poesie petrarchesche perché il D. S. mentre si preparava P suggerí all’amico Marciano di aggiungere in nota le poesie che commentava nel testo, in quanto temeva che il volume riuscisse troppo smilzo, e prometteva brevi e succose note, che poi non ebbe il tempo di scrivere. Orbene, quelle poesie vennero riprodotte Aspettando fedelmente la grafia e la punteggiatura dell’edizione Le Monnier (le lievi divergenze sono da imputare a semplici sviste). Nelle citazioni invece nel corpo del testo la grafia restava oscillante, specialmente nell’uso di elisioni e apostrofi; perché l’autore non aveva copiato o fatto copiare le poesie dai libri ma le aveva dettate all’Imbriani e della trascrizione un poco approssimativa dell’Imbriani si servi quando fece la sua revisione del corso zurighese. È dunque legittimo uniformare la grafia, come Cr, tenendo a base per le poesie di Dante l’edizione del Fraticelli (Opere minori di Dante Alighieri, vol. I: Il Canzoniere... aggiuntovi le rime sacre e le poesie latine, Firenze Barbèra, Bianchi e Comp., i856), per i dugentisti il Manuale del Nannucci (Firenze, Barbera, i856-58, 2 a ed.), e per il Canzoniere e i Trionfi una delle edizioni Le Monnier che recavano le note del Leopardi e seguivano l’ordinamento fissato da Antonio Marsand nella sua edizione padovana del i8i9-20 con la divisione di Sonetti e canzoni in vita di madonna Laura, Sonetti e canzoni in morte di madonna Laura, Trionfi, Sonetti e canzoni sopra vari argomenti. Che il D. S. abbia avuto presente una delle ristampe Le Monnier (o la terza del i85i seguita da Cr, o la quarta del i854, identica alla terza, seguita da noi) è fuori dubbio. Egli stesso in una nota (p. 40) si richiama all’edizione Le Monnier, sennonché, avendo nella memoria l’anno della prima edizione del commento leopardiano, che apparve presso l’editore Stella di Milano nel i826, indicò come anno di stampa dell’edizione Le Monnier il i826, mentre l’editore fiorentino diede la sua prima stampa del Petrarca commentato dal Leopardi nel i845 e in anni successivi numerose ristampe.
Per le rime di Dante va tuttavia osservato che talvolta il D. S. citò secondo una lezione che, data da altri testi, al Fraticelli era sembrata o errata o meno buona, e in questi casi, come risulta dall’apparato, abbiamo tenuta non arbitraria la lezione desanctisiana. Ma più delicata è stata la questione dei passi nei quali il D. S. altera sensibilmente brani del Petrarca. Qui era necessario fissare un limite ai nostri interventi, anche se le Integrali correzioni di Cr hanno trovato il consenso di Co, T e G,. Diamo innanzi tutto l’esempio di una citazione nella quale anche a noi é sembrato opportuno restaurare il testo secondo l’edizione Le Monnier. Nel son. Onde tolse Amor Toro e di qual vena (p. 46) per un errore che può anche essere imputato al tipografo il v. 3 si legge in P cosí. Colse le rose, e ’n qual piaggia le trine. In S lo stesso verso torna piú scorretto, o per un nuovo refuso o per un infelice intervento dell’autore: Colse le rose, e ’n qual pioggia le trine. In casi come questi, assai rari del resto, trattandosi di materiale distrazione era ragionevole soltanto restaurare la lezione esatta: Colse le rose, e ‘n qual piaggia le brine.
Ma per quello che riguarda i lapsus delle citazioni, un esame attento ci ha persuasi che bisogna tener conto della particolare stesura del Saggio. La medesima ragione per la quale abbiamo rispettato la grafia delle edizioni alle quali si rifaceva il D. S. nel citare le poesie date nel testo, ci è servita quale criterio discriminante dei lapsus. Ci sembra chiaro infatti che parte delle citazioni — le piú brevi e, non a caso, piú strettamente incorporate col ragionamento critico — furono fatte a memoria: se qui ricorre qualche errore va rispettato quale indizio della familiaritá che il D. S. aveva con il suo poeta (Rammentiamo quello che egli narrerá a questo proposito nel capitolo XXVI de La Giovinezza: «Sapevamo a mente molti sonetti e canzoni del P.; e, appunto perché dimesticati con lui, ci fece poca impressione».) E non mancano casi nei quali la forte memoria del critico gli faceva dare una lezione piú corretta di quella dell’ediz. Le Monnier, come, per es., a p. 40, rr, 28-29 e a p. 83, r. i9, ed altri nei quali non si tratta di errore della memoria ma di conservazione d’una lezione diversa da quella dell’ediz. Le Monnier, come, per es., a p. 40, r. i7. Ma buona parte delle citazioni sono quelle che l’autore dettò all’Imbriani avendo sott’occhio i libri, e sia perché l’Imbriani intese male sia perché non scrisse ben chiaramente, quando il D. S. rielaborò le lezioni trasferí nel suo manoscritto alcuni errori che passarono poi nelle stampe. Quando, per fare un esempio, nel son. XV (p. i04) leggiamo al v. 2 in P e in S: Col capo stanco che a gran pena porto, anziché Col corpo, restaurare «corpo» è ancora logico, trattandosi evidentemente di una forma ereditata dal manoscritto Imbriani. Ma solo al D. S. e ad inganno della sua memoria sono imputabili errori come quelli registrati dal Croce nella pagina sopra riferita della «Prefazione» alla sua ristampa; e tali errori abbiamo conservato dando conto nell’apparato della lezione vera con la sigla Edd., con la quale indichiamo insieme la lezione dell’edizione Le Monnier e il restauro, conforme ad essa, introdotto da Cr, e accettato da Co, T e G.
Un esempio tipico è dato dal sonetto Gli occhi di ch’io parlai si caldamente, del quale il D. S. cita (pp. 177-178) la seconda quartina e le due terzine, non di seguito ma intercalando tra quartina e terzine alcune righe di commento. Nei dieci versi il D, S., stando a P e a S, altera il testo Le Monnier (il quale non differisce da quelli correnti allora, per esempio da quelli recanti le Osservazioni del Muratori, che il D. S. ebbe familiari) in ben sei punti. Troppi, per chi citi avendo un testo sotto gli occhi; troppi anche per imputarli a trascuratezza dell’Imbriani. Non solo, ma «viso» in luogo di «riso» del v. 6, è ripetuto tre righe sotto nel testo. Il passo in questione è conservato, oltre che da P e da S, dalla stampa del «Politecnico nella quale gli errori sono cinque e non sei, essendovi al v. 5 la forma corretta «crespe chiome» che in P e in S diventa disgraziatamente «fresche chiome». Abbiamo dunque corretto «fresche» in «crespe», ma abbiamo lasciato gli altri errori, che stanno anch’essi a testimoniare quello stato di estro nel quale fu steso il Saggio. Comunque l’apparato dá notizia di questi casi, come degli altri nei quali ci discostiamo da Cr e dalle edizioni correnti: e questo scrupolo, come quello di registrare le piú significative varianti di P, R, Ns, non vuol essere esercizio di pedanteria, ma solo chiarimento della revisione che abbiamo condotta. Perché Cr, riprodotto da Co e, attraverso Co, da T, e seguito, sia pure con cautela da G, ha costituito quasi una Volgata del Saggio che ha una sua giustificata autoritá. È opportuno dunque che, ove non si tratti di minuzie di grafia, il lettore sia informato esattamente dei luoghi nei quali abbiamo abbandonato questa Volgata2.
La critica del Petrarca. P. 2, rr. i5-i6: quando vi sieno delle lacune, ed egli abbia il modo di riempirle; R, P, Ns, Cn: quando sia ben constatato che vi sono delle lacune, e che egli abbia il modo di riempirle; Cr, Co, G: quando vi sieno lacune, ed egli abbia il modo di riempirle. PP. 4-5, rr. 36-i: amico del Boccaccio e dei piú grandi uomini; R, P, Ns: amico del Boccaccio e dei piú chiari uomini. P. 7, r. 22: e in istrano miscuglio; Cr, Co, G: ed in istrano miscuglio. P. 7, r. 28: olla podrida; Co: «olla putrida». P. ii, r. 33: impossibile a fissarle (secondo R, P, Ns, S; e si veda p. 87, r. 6: «diffícile a leggerlo», analogo, e conforme all’uso antico, e anche p. i90, r. 33: «Sarebbe pedanteria a voler cercare»); Cr, Co, T, Cn, G: impossibile fissarle. P. i4, r. 30: Nella favola di Achille; Cr, Co, G: Nelle favole di Achille. P. i5, rr. 3-4: ci dibattiamo fra il reale vivo e presente; Co, T, Cn, G: ci dibattiamo tra il reale vivo e presente. P. 16, rr. i8-i9: quello che pensa o desidera; Ns, Co, T, G: quello che pensa e desidera. P. i6, r. 25: senza trovar mai il centro ove fissarsi (secondo R, Ns, P); S, Cr: senza trovar mai il centro. (G mette «ove fissarsi» tra parentesi quadre dicendola aggiunta di Cr). P. i8, rr. 7-8: dov’è scritto ideale, metterci reale; R, P, Ns: dov’è scritto ideale, metterci il reale. P. i8, rr. i9-20: nel fatto l’uno è l’altro, l’uno non si può concepir senza l’altro; R, P, Ns, T, Cn: nel fatto l’uno è l’altro, e l’uno non si può concepir senza l’altro. P. i9, r. 2i: e piú ci scostiamo dalla poesia: R, P, Ns, Cn: e piú ci discostiamo dalla poesia. P. i9, r. 23: e piú ci sentiamo in arte; R, P, Ns, Cn: e piú ci sentiamo nel vero campo dell’arte. P. i9, rr. 33-34: e del suo concetto, e ciò che ci è di reale; Cr: e del suo concetto, e di ciò che ci è di reale. P. 20, rr. 9-i0: anche il brutto appartiene all’arte come alla natura; anche il brutto è vivente; Cr: anche il brutto appartiene all’arte; come nella natura anche il brutto è vivente; S, Co, G: anche il brutto appartiene all’arte come nella natura anche il brutto è vivente. P. 20, rr. 20-2i: noi chiamiamo brutto una gran parte del mondo poetico, e gli diamo il passaporto; R: noi proclamiamo il brutto una gran parte del mondo poetico, e le diamo il passaporto; Cn: noi proclamiamo brutta una gran parte del mondo poetico e le diamo. P. 2i, r. i3: sulla Basvilleide di Vincenzo Monti; Cr, Co, T, G: sulla Basvilliana di Vincenzo Monti.
Cap. I. Petrarca. P. 28, r. 4: Ma quando scuote tutta l’anima G: Ma quando scuote l’anima. P. 30, rr. i0-ii: di non potere esser tacciato; Cr, Co, T, di non poter esser tacciato; G: di non poter essere tacciato. P. 30, rr. ii-i2: il quale non trovava ammiratori che presso il volgo; P: il quale non trovava ammiratori che sol presso il volgo. P. 30, rr. i2-i3: e come scoppia l’invidia; Cr, Co, T, G: e come scoppia d’invidia. P. 30, rr. 33-34: onde meritò di essere perseguito da odii inestinguibili; Cr, Co, T: onde meritò di essere proseguito da odii inestinguibili. P. 3i, rr. ii-i2: studii soliti di gramatica; G: studi soliti di grammatica. P. 32, rr. 6-7: Roma e Italia antica era l’etá dell’oro; Cr, Co, T: Roma e l’Italia antica era l’etá dell’oro. P. 33, r. 4: i Bonati, i Mussati, i Lovati; Cr: i Mussati, i Lovatti, i Bonattini; Co, T: i Mussati, i Lovati, i Bonattini.
Cap. II. Il petrarchismo. P. 37, r. 6: che suppone un’amata onesta ed un amante cortese (lezione di P); 5: che suppone un’anima onesta ed un amante cortese. P. 37, r. 38: Pensando a cui mia alma hai fatto ancella; P, S: Pensando a cui tua alma hai fatto ancella (che Cr, Co, T, male corressero in: Pensando a cui tua alma ha fatto ancella). P. 38, r. i: Ballata giovanzella; P, S: Ballata giovanella. P. 39, r. i8: Appresso gir ne lo vedea piangendo; P, S: Appresso gir lo ne vedea piangendo. P. 40, r. i7: Lasso, che son! che fui? Edd.: Lasso, che son! che fui! (di conseguenza con Cr tutti correggono a rr. 25-26: con una improvvisa e patetica esclamazione «Lasso, che son! che fui!». Ma il D. S., rammentava o il testo recante le Osservazioni del Muratori o altro che poneva l’interrogativo). P. 40, rr. 28-29; «La vita il fine, e il dí loda la sera»; Edd.: «La vita al fin; e ’l dí loda la sera». (Anche qui il D. S. citava a memoria e in questo caso dava la lezione giusta, che giá il testo recante le Osservazioni del Muratori portava come variante in margine). P. 4i, r. 32: che taglia con la scure dei raggi il collo all’ombra; G (ma solo per distrazione): che taglia con la scure il collo all’ombra, P. 4i, r. 33: Era degno d’inventar la ghigliottina; P, G: Era degno d’inventar la guillottina. P. 42, rr. ii-i2: L’uomo ha bisogno ad ora ad ora di rinsanguarsi; S: L’uomo ha bisogno ad ora ad ora di risanguarsi (il D. S. intendeva correggere «rinsanguinarsi» di P, appropriato ma arcaico in questa accezione e per distrazione scrisse «risanguarsi». All’uso di «rinsanguinare» lo scrittore rimase peraltro fedele anche piú tardi: cfr. La letteratura italiana nel secolo XIX. La scuola liberale e la scuola democratica, a cura di F. Catalano, Bari, Laterza, i953, p. 296, r. 2). P. 43, r. 6: Infinita è la turba degli sciocchi; Edd.: Infinita è la schiera degli sciocchi. P. 44, r. 7: Ed io so ben che l’amoroso stato; Edd.: Ond’io so ben ch’un amoroso stato. P. 45, r. 24: Credo che tel conoschi; P, S: Io credo tel conoschi. P. 47, r. i9: Dunque Amore l’ha posto; P: Che Amore l’ha posto. P. 47, rr. i9-20: come al sol neve, e come cera al foco; Cr, Co, T, G: come al sol neve, come cera al foco.
Cap. III. Il mondo del Petrarca. P. 5i, rr. 5-6: ponendoli in situazioni che li appassionano; P, S: ponendoli in situazioni che li appassiona. P. 53, r. 8: perché lo sciolga da quel pensiero col divino amore; P: perché lo disciolga da quel pensiero col divino amore. P. 54, r. i: e la ballata; Cr, Co, T, G: e l’altra. P. 56, r. 2i: Umilemente d’onestá vestuta; P, S: Umilemente d’umiltá vestuta. (Il Fraticelli dá nel suo testo «benignamente d’umiltá» e in nota come lezione meno buona «umilemente d’onestá»: D. S. ha contaminato le due lezioni). P. 57, rr. 2-3: E l’amante ne fa una giovinetta, o piuttosto; Co, T, G: E l’amante ne fa una giovinetta, e piuttosto. P. 57, r. i4: Della sua luce e della sua virtute; P, S: Della sua grazia e della sua virtute. P, 60, r. 2: Bagnata il viso di pietá d’amore; G: Bagnata il viso di pianto d’amore. (G restaura il testo secondo Fraticelli; ma la lezione «pietá» si dava in altri testi, e Fraticelli la registrava in nota per condannarla). P. 6i, r. 20: Certo lo core de’ sospir mi dice; Cr, Co, T, G: Certo lo core ne’ sospir mi dice. (Secondo il Fraticelli; ma era lezione corrente anche «de’», come nota Fraticelli). PP. 6i-62, rr. 36-i: risponde a ciò che di piú secreto si move nel core umano; P, S: risponde a ciò che dippiú secreto si move nel core umano; Cr, Co, T, G: risponde a ciò che di piú segreto si muove nel core umano. P. 63, r. i0: ch’era di pianger si pronta; P, S: ch’era si di pianger pronta. P. 64, r. 20: purché l’uom si penta (secondo il Fraticelli); Cr, Co, T, G: perché l’uom si penta. P. 65. rr. 30-3i: in certe epoche soggiacciono a certi indirizzi; Cr, Co, T, G: in certe epoche i popoli soggiacciono a certi indirizzi. P. 67, r. i5: o ch’io spero; Edd.: o che spero. P. 68, r. 2: Io medesmo non so quel ch’io mi voglia; Edd.: Ch’i’ medesmo non so quel ch’io mi voglio. P. 68, rr. i4-i5: si trasformano in sentimenti d’altra natura; Cr, Co, T, G: si trasformano in sentimenti di altra natura.
Cap. IV. Laura e Petrarca. P. 70, rr. ii-i2: La Dea è la donna iniziale; P, S: La Dea è la donna iniziata. P. 7i, rr. 29-30: condizione a cui non si possono sottrarre gl’ingegni; Cr, Co, T, G: condizione a cui non si possono sottrarre neanche gl’ingegni. P. 72, r. 3i: di ogni parte terrea e greve; Cr, Co, T, G: di ogni parte terrena e greve. (La correzione di Cr, seguita da Co, T, G, di «terrea» in «terrena» è ammodernamento infondato. Per l’uso arcaico cfr. Tommaseo-Bellini. Anche altrove D. S. usa «terreo» in questosenso: v. Saggi critici, ed. Russo, I, p. 228, r. 2: «spogliata di ogni sua parte terrea»). P. 73, r. i7: Simile a quella che nel cielo india; Edd.: Simile a quella che nel cielo eterna. P. 74: P non porta la nota a piè di pagina. P. 75: P non porta la nota a piè di pagina. P. 76, rr. ii-i2: non t’aspetti quasi ch’ella potesse morire; Cr, Co, T, G: non t’aspetti quasi ch’ella possa morire. P. 76, r. i3: In Dea non credev’io regnasse morte; Edd.: Che ’n Dee non credev’io regnasse morte. P. 77, r. 23: Che ’n mille dolci nodi gli avvolgea; P, S: Che in mille vaghi nodi gli avvolgea. P. 79, rr. i0-ii: Nello stretto senso cattolico; Co: Nello stesso senso cattolico. P. 80, r. i9: Quattordici anni, e vincerá il migliore; Edd.: Sette e sett’anni, e vincerá il migliore. P. 82, r. i6: Se non fosse mia stella; P, S: Se non fosse mai stella. P. 83, r. i9: Di tornar a veder la donna nostra (qui il D. S., ricordando altro testo forse quello con le Osservazioni del Muratori, ha giustamente corretto l’ediz. Le Monnier che dava: Di tornar e veder la donna nostra). P. 83, r. 2i: E al Ciel mi guida per destro sentiero; Edd.: Ch’al Ciel ti scorge per destro sentiero. P. 83, rr. 26-27: i giorni perduti, le notti vanamente spese; Cr, Co, T, G: i giorni perduti, le notti vaneggiando spese. P. 83, r. 30: Dopo le notti vanamente spese; Edd.: Dopo le notti vaneggiando spese. P. 83, r, 31: Per quel fero desio ch’al cor s’accese; Edd.: Con quel fero desio ch’al cor s’accese. P. 84, rr. i9-20: di maniera che possa chiamarlo il suo stato fisso; P, S: di maniera che possi chiamarlo il suo stato fisso; Cr, Co, T, G: di maniera che tu possa chiamarlo il suo stato fisso. P. 85, r. 5: Di che possiamo tirare per prima conseguenza; Cr, Co, T: Di che possiamo tirare per la prima conseguenza. P. 85, r. 7: E poi, che nel Petrarca nessun indirizzo; P, S: E poi, che nel Petrarca nessuno indirizzo.
Cap. V. Forma petrarchesca. P. 88, rr. 9-i0: Ci è nella vita impressioni ed apparizioni; Cr, Co, T, Cn, G: Ci è nella vita impressioni od apparizioni; P. 88, rr. 33-34: Ma con pari felicitá ha usato la ballata, il madrigale; P, S, Cn: Ma con pari felicitá ha usato la ballata, l’epigramma. P. 94, rr. i3-i4: Quella soprattutto della vecchiarella pellegrina; Co, T, Cn: Quello soprattutto della vecchierella pellegrina. P. 95, r. ii: è una «gentile pietá»; Co, T, Cn: è una «gentile pietade». P. 95, r. 24: Tanta dolcezza avea pien l’aere e ’l vento; P, S: Tanta dolcezza avea pien l’aria e il vento. P. 96, r. 8: Ed avea seco un’umiltá verace; Edd.: Ed avea seco umiltá sí verace. P 96, r. i8: Vedi che sí desideroso vegno; P, S: Vieni, ché sí desideroso vegno. P. 96, r. 33: Sendo lo spirto giá da lei diviso; Edd.: Essendo ’l spirto giá da lei diviso. P. 97, rr. 2-3: sei sopraggiunto da un’immagine inattesa, che è un tocca e basta; Cr, Co, T, Cn: sei sopraggiunto da un’immagine inattesa, è un tocca e basta.
Cap. VI. Situazioni petrarchesche. i) Uso ed abuso della riflessione. P. i02, r. 35: e se parole fai; P, S: o, se parole fai. P. i03, r. i: Lagrime triste, e voi tutte le notti; P, S: Lacrime triste, e voi tutta la notte. P. i03, r. 20: Io l’ho negli occhi e veder seco panne; Edd.: Ch’i’ l’ho negli occhi e veder seco parme. P. ii0, rr. 4-5: tempo di arrestarsi, che fra poco; Co: tempo di arrestarsi, fra poco. P. iii, r. 22: Chiamavi il ciel che intorno vi si gira; Edd.: Chiamavi ’l cielo e intorno vi si gira. P. ii2, rr. 2-3: ed avrebbe fatto della canzone una poesia allegorica; P, S: ed avrebbe fatta della canzone una poesia allegorica. P. ii5, rr. 8-9: Ma se la riflessione, come elemento negativo, è altamente tragica e pioetica; P, S, Cr, Co, T: Ma se la riflessione, come elemento negativo, è altamente tragico e pioetico. P. ii9, rr. i3-i4: Ha usato ed abusato della riflessione. Il suo spirito acuto lo tira; Cr, G: Ha usato od abusato della riflessione. Il suo spirito acuto lo tira; Co, T: Ha usato od abusato della riflessione, il suo spirito acuto lo tira.
Cap. VII. Situazioni petrarchesche. 2) Calore d’immaginazione. P. i20, rr. i0-ii: Perché la passione spoltrisce l’anima, e la gitta in un vivo concitamento; P: Perché la passione spoltrisce l’anima, e scotendola e tormentando (sic) la gitta in un vivo concitamento. P. i2i, rr. 3-4: s’inteneriscono, si lamentano, cadono in malinconia; Cr, Co, T: s’inteneriscono, si lamentano e cadono in malinconia. P. i2i, r. 7: consultato come oracolo; Cr, Co, T: consultato come un oracolo. P. i2i, r. 34: Dritto per l’aure al suo desir seconde; P, S: Dritto per l’aure al suo voler seconde. P. i22, rr. 27-28: e povera di quella passione che vien solo; P: e povera di quel corteggio di passioni che vien solo. P. i24, r. 2: Questa poesia non si riferisce a nessun fatto; P: Questa poesia non si rapporta a nessun fatto. P. i26, rr. 2-3: Cominciate a leggere, e vi accorgete; Cr, Co, T: Cominciate a leggere, e vi accorgerete. P. i29, rr. i3-i4: ma il piacere mi sprona e il soggetto m’innalza; Cr, Co, T, G: ma il piacere mi sprona o il soggetto m’innalza. P. i32, r. i5: la vista di quegli occhi per fruire la vista del cielo; Cr, Co, T: la vista di quegli occhi per fruire la vita del cielo. P. i32, r. i7: E che ’l cammino a tal vista mi serra; Edd.: E che ’l cammino a tal vita mi serra. P. i32, rr. 29-30: prima era vóto, ora pieno di quel pensiero; Ms: prima era vòto, ora è pieno di quel pensiero. P. i34, rr. 6-8: un piacere lungamente ed invano desiderato il poeta vuol sorbillarlo tutto goccia a goccia (lezione di Ms, P, S); Cr: un piacere lungamente ed invano desiderato il poeta vuol sorbirlo tutto e a goccia a goccia; Co, T: un piacere lungamente ed invano desiderato il poeta vuol sorbirlo tutto, e a goccia a goccia; G: un piacere lungamente ed invano desiderato il poeta vuol sorbillarlo tutto, e a goccia a goccia. P. i34, r. i5: Volgete il lume in cui Amor si trastulla; Ms, P, S: Volgete il lume ove Amor si trastulla. P. i35, r. 27: a ben far non mossi un’orma; Co, T, G: a ben far non mosse un’orma. P. i36, r. i: che attesta la subitaneitá; Cr, Co, T: che attestano la subitaneitá. P. i4i, r. 6: gli Orsini, i Conti, i Caetani; Cr, Co, T: gli Orsini, i Conti, i Gaetani. P. i44, rr. i-2: con l’incanto della luce che la prima volta esca dalle mani di Dio; Ms, P: con l’incanto della luce la prima volta uscenti dalle mani di Dio. P. i45, rr. 26-27: quei barbari, e di che si tratta; Cr, Co, T, G: quei barbari e di che si tratti. P. i46, rr. 24-25: sentite che quello c’è d’eccessivo (arcaismo di Ms e di tutte le edizioni fino a T); G: sentite che quello che c’è d’eccessivo. P. i47, r. ii: tutto vien fuori come un solo impeto; Ms, P: tutto vien fuori come in un solo impeto. P. i47, r. i7: Non per odio d’altrui né per disprezzo Ms, P, S: Non per odio d’altrui né per dispetto.
Cap. VIII. Situazioni petrarchesche. 3) Malinconia. P. i49, rr. 4-5: si sforza invano di supplire il poeta; Ms, P: si sforza invano di supplire al poeta. P. i49, r. ii: senti il suono romoroso; Cr, Co, T: senti il suono rumoroso. P. i50. rr. i9-20: nel popolo che ne è tormentato, penetra la misura e l’amore del reale; Cr, Co, T, G: nel popolo che ne è tormentato, penetrerá la misura e l’amore del reale. P. i52, r. 2i: Chi ’l crederia? Edd.: Chi ’l pensò mai? (Cr, Co, T, correggono «Chi ’l pensò mai?» anche a r. 3i, e a r. 32, mentre G lascia «Chi ’l crederia?»). P i53, rr. 2-3: sulle labbra è morto il riso; Ms, P: sulle labbra è morto il sorriso. P. i53, r. 6: E gli occhi porto, per fuggir, intenti; Ms, P, S: E porto gli occhi per fuggire intenti. P. i53, rr. 20-2i: il suono monotono e tristo; Cr, Co, T: il suono monotono e triste. P. i53, rr. 32-33: a quello stile di marmo, che tanto ti spaventa; Co, G: a quello stilo di marmo, che tanto ti spaventa. P. i53, r. 34: è un momento passaggiero; Cr: è un momento passaggero; Co, T: è un momento passeggero. P. i54, r. i0: questa immobilita e tristezza contemplativa; Co, T, G: questa immobilitá o tristezza contemplativa. P. i54, rr. 28-29: In cambio di quella, che non ha forza; Cr, Co, T: In cambio della realtá, che non ha forza. P. i55, rr. 7-8: Qui soprattutto si rivela quel carattere; Cr, Co, T: Qui soprattutto rivela quel carattere. P. i55, rr. ii-i2: d’una finitezza di forma a fargli illusione; Cr, Co, T, G: d’una finitezza di forma da fargli illusione. P. i55, r. i8: Forse (o ch’io spero); Edd.’ Forse (o che spero). P. i59, rr. i-2: montagna sovrastante a montagna (lezione di Ms, ma non chiara); P, S: montagna sovrastante a montagne; Cr, Co, T, G: montagne sovrastanti a montagne. P. i59, r. ii: ogni segnato calle; Ms, P, S: ogni segnato loco. P. i6i, r. 30: troppo brevi sono le gioje dell’obblio; Cr, Co, T, G: troppo brevi siano le gioie dell’obblio. P. i6i, r. 3i: Ma mentre tener fiso; Ms, P, S: Pur mentre tener fiso. P. i62, r. i4: nel tronco d’un faggio; Co, T: nel troncon d’un faggio. P. i63, r. i7: Ove d’altra montagna ombra non tocchi; Ms, P, S: Ove d’alta montagna ombra non tocchi. P. i64, r. 2: Questo è la realtá; Cr, Co, T, G: Questa è la realtá. P. i64, rr. i8-i9: non ha che a compararla con l’antecedente; G: non ha che a compararla con la i2 (per correggere l’errore del D. S.; e cosí a p. i65, rr. 2-3: ponendo questa canzone in risguardo con la seguente; G: ponendo questa canzone in risguardo con la 4). P. i64, rr. 26-27: Il poeta pone in rassegna certi tempi; Cr, Co, T: Il poeta passa in rassegna certi tempi. P. i64-i65, rr. ultima e prima: e le tre eccellenze del viso di Laura; Co, T: e le «tre eccellenzie» del viso di Laura. P. i68, r. 20: quella disperazione è come rattiepidita; Co, T: quella disperazione è come rattepidita; Ms, P, S: quella disperazione è come rattepiedita. P. i70, rr. 2-3: «oh pietá!»; Ms, G: «oh pietá!». P. i70, r. 33: negli stessi pensieri, che fluttuano mescolati; Cr, Co, T, G: negli stessi pensieri, che fluttuarono mescolati.
Cap. IX. Morte di Laura. P. i77, rr. 4-5: Questa fu la prima impressione del suo dolore: riafferrare un mondo, che è sparito per sempre; S: Questo fu la prima impressione del suo dolore, riafferrare un mondo, che è sparito per sempre; R, P: Questa fu la prima impressione del suo dolore, questo riafferrare un mondo, che è sparito per sempre. P. i77, rr. 7-8: con un verbo di tempo passato; R, P, S: con un verso di tempo passato. P. i77, r. 8: con un «oimè»; Co, G: con «oimè». P. i77, rr. ii-i2: Quando pensiamo al defunto; Cr, Co, T, G: Quando pensiamo a un defunto. P. i77, r. 22: Le crespe chiome d’or puro lucente; P, S: Le fresche chiome d’or puro lucente. P. i77, r. 23: E ’l lampeggiar dell’angelico viso; Edd.: E ’l lampeggiar dell’angelico riso. P. i77, rr. 26-27: e quel «viso angelico»; Cr, Co, T, G: e quel «riso angelico». P. i77, r. 34: In gran fortuna e disarmato legno; Edd.: In gran fortuna e ’n disarmato legno. P. i78, r. i: Or sia qui fine all’amoroso canto; Edd.: Or sia qui fine al mio amoroso canto. P. i78, r. 3: E la cetera mia rivolta è in pianto; Edd.: E la cetera mia rivolta in pianto. P. i78, r. 32: Di riveder cui non veder fu meglio (come R e Edd.); P, S: Di riveder cui non veder fia il meglio. P. i80, r. i2: si ostina su quelle forme con un tristo; Cr, Co, T: si ostina su quelle forme con un triste. P. i8i, r. 27: che non ne abbiano provata la puntura; Co, T, G: che non ne abbiano provata puntura. P. i8i, r. 34: Tali sono i sonetti CXCI e CXCII (come in R); P, S: Tali sono i sonetti i94 e i9i (e T e G avvertono dell’errore). P. i82, r. i7: se la senta giá addosso prima; R, P: se la senta giá addosso prima che lo prenda. P. i82, rr. 24-28: R dava questa lezione: «e si accusa e si chiama stolto e cieco (son. LVII) innanzi le circostanze. Ma innanzi agli occhi m’era posto un velo
Che mi fea non veder quel ch’io vedea, Per far mia vita subito piú trista.» |
P. i83, rr. i4-i5: per entro alla quale s’insinua verso l’ultimo; R, P: per entro alla quale penetra verso l’ultimo. P. i85, rr. 24-25: annoverare ad ima ad una tutte le sue perdite; R, P: annoverare ad una ad una tutte le perdite. P. i85, r. 26: come ora che; R, P, S: che ora che. P. i86, r. 25: or gli rincresce, ché vede di colá (lezione di R), P, S: or gli rincresce, che vede di colá. P. i88, rr. i4-i5: sono qui vestite di maraviglia e di commozione (come in R e in P); S: sono qui vestite di maraviglia di commozione; Cr, Co, T, G: sono qui vestite di maraviglia, di commozione. P. i89, r. i7: Forse suoi nati o sua fida consorte; Edd.: Forse suoi figli o sua cara consorte. P. i89, r. i9: Con tante note si soavi e scorte: Edd.: Con tante note si pietose e scorte. P. i9i, r. 2: non si sa il come e il quando: G: non si sa il come e il quanto. P. i9i, r. 20: Attutite le passioni; R, P.: Attutate le passioni.
Cap. X. Trasfigurazione di Laura. P. i92, r. 22: Del navigar per queste orribil onde; Edd.: Del navigar per queste orribili onde. P. i93, r. 9: quelle «orribil onde»; Cr, Co, T, G: quelle «orribili onde». P. i94, rr. i7-i8: il filo logico delle idee è rotto; P, S: il fine logico delle idee è rotto. P. i95, r. 8: Che fai? che pensi? che pur dietro guardi; P, S: Che fai? che pensi? a che pur dietro guardi. P. i95, r. i0: Anima sconsolata? che pur vai; P, S, Cr: Anima sconsolata? a che pur vai. P. i95, r. 25: Finora ha cercato Laura in terra: — Che fai misero!. Co, T: — Finora ho cercato Laura in terra: che fai misero! P. i95, rr. 32-33: con pensare a Dio e finire come un romito; P: un pensare a Dio e finire come un romito. P. i98, rr. 3-4: ma venute fuori da ciò che ci è di piú delicato; Co, G: ma venuto fuori da ciò che ci è di piú delicato. P. i98, r. 6: che cangia pelo sí per tempo; Co: non cangia pelo sí per tempo. P. i98, rr. i6-i7: dove non è mai entrata altra immagine dominatrice che Laura; Cr, Co, T: dove non è mai entrata altra immagine che Laura. P. i98, r. 23: Come donna in suo albergo altera vene; P, S: Come donna in suo albergo allora vene. P 20i, r. 23: fa obbliare il paesaggio; Co: fa obbliare il passaggio. P. 203, r. 6: e non si può staccar dalla terra; Cr, Co, T: e non si può distaccar dalla terra. P 204, r. 3 e r. 22: Non pianger piú; non m’hai tu pianto assai? P, S: Non pianger piú; non hai tu pianto assai? P. 204, r. 28: in modo, che da un moto; S, Cr, Co, T: in modo, che da un motto. P. 207, rr. 23-24: s’intravede, non si vede; P, S: s’intravvede, non si vede. P. 207, r. 26: ma come amata ed amante; P: ma come amata ad amante. P. 208, r. i9: e dall’alto del paradiso; Co, G: e dall’alto dal paradiso. P. 209, r. 8: Se le mie rime alcuna cosa ponno; Edd.: E se mie rime alcuna cosa ponno.
Cap. XI. Dissoluzione di Laura. P. 2i0, rr. i4-i5: nella quale si sentisse ancor calda l’antica; Cr, Co, T, G: nella quale si senta ancor calda l’antica. P. 2ii, r. 9; va a volgersi contro Laura; Co, T, G: va a rivolgersi contro Laura. P. 2i4, r. 6: rimane nella terra; P: rimane fitta nella terra. P. 2i4, rr. 7-8: non ha le ale quantunque sel creda, non ha le ale per levarsi; Co, T: non ha le ali quantunque sei creda, non ha le ali per levarsi. P. 2i4, r. 30: vuole il poeta uscir del suo passato; Co, T, G: vuole il poeta uscir dal suo passato. P. 2i7, r. 3: dell’Etna o di Scilla e di Cariddi (come P); S, Cr, Co, T: dell’Etna o di Sicilia e di Cariddi. P. 2i8, r. i4: E ’l brevissimo riso e i lunghi pianti; P, S: E il lievissimo riso e i lunghi pianti. P. 2i8, r. 24: Cortesia intorno intorno a Puritate; P, S: Cortesia intorno intorno e Puritate. P. 2i9, rr. i0-ii: sublime analizzato è sublime annichilato; Co: sublime analizzato è sublime annichilito. P. 2i9, r. 22: e appunto per questo l’ha annichilata; Co: e appunto per questo l’ha annichilita. P. 225, r. i: ciò che lo attira e lo commove, è la storia sua; P: ciò che lo attira e lo commove, è la sua storia.
Cap. XII. Conchiusione. P. 226, rr. i4-i5: a spese del proprio cuore, fattosene il carnefice; Cr, Co, T: a spese del proprio cuore umano, fattosene il carnefice. P. 226, r. i5: piú il reale gli sfugge; P: piú il reale gli fugge.
Appendice. P. 235, r. 4 e p. 236, r. 4: Vischer; S: Fischer. P. 235, r. 4: Herwegh; S, Cr, Co. T: Herweg. P. 235, r. i9; e rattiepidivano le mie simpatie tedesche; S: e rattepiedivano le mie simpatie tedesche; Cr, Co, T, G: e rattepidivano le mie simpatie tedesche. P. 237, rr. 23-24: il ricondurre le cose alle loro origini; Co, T: il ricondurre le cose alle sue origini.
Ettore Bonora
- ↑ Cosi nella «Prefazione» al Saggio nella edizione curata per l’editore Morano di Napoli (p. V). Questa asserzione non si legge nella ristampa di questo scritto (col titolo Per la nuova edizione del «Saggio sul Petrarca») nel voi. Una famiglia di patrioti ed altri saggi storici e critici, Terza ediz. riveduta, Bari, Laterza, i949, in quanto la prima pagina della «Prefazione» venne lí riassunta in questa sola battuta: «Il Saggio sul Petrarca, nato da un corso di conferenze tenute a Zurigo nel i858, e pubblicato in volume nel i869...». Piú avanti tuttavia (p. 248) a Croce, come nella «Prefazione», scrive: «Quando, nel i868, egli si dette a elaborare per la stampa il corso sul Petrarca...». L’ipotesi del Croce fu ripresa dal Cortese (p. xi della sua edizione), il quale scrisse che nel i868 il D. S. «riprese tra le mani il manoscritto, completò la trattazione, gii arricchita nella prima revisione [del ’59), — ché, ad esempio, nelle lezioni aveva trascurato di parlare delle poesie politiche del Petrarca, — pensò di scrivere un’introduzione...».
- ↑ Quando un lapsus ricorre nelle citazioni d’una di quelle poesie che l’Autore fece poi riprodurre integralmente in nota, per ovvia coerenza lo abbiamo eliminato, contannando il testo della citazione a quello recato in nota. Ma anche per questi casi si veda l’apparato.