Saggi poetici (Kulmann)/Parte terza/Bione
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BIONE
INVENZIONE DELLA DANZA
«Dunque la madre nostra
Sol da mortali labbra
Sempre lodata fia?
(Disse Amore alle Grazie,
5Il dì innanzi alla festa
Di Venere sorgente
Dalla marina spuma)
E noi, sua prole, dunque
Spettatori saremo?
10Udite un mio consiglio!
Ver la sera adunate
Tutte le Ninfe vostre
Là nel Sacro Giardino
Che verso il mar si volge;
15Anch’io verrò da miei
Fratelli accompagnato;
E troverem la via
Di rallegrar la madre,
Quando, compiuto il rito,
20A goder di quell’aure
Nel giardin suo ritorna.
Accoglie l’adunanza
Ciò che propone Amore
Con applauso indiviso,
25Ed impiega ciascuno
L’avanzo della notte
A far bene sua parte.
«Tu, della madre nostra
Il ritratto vivente,
30Non temere, o Talia!
(Così le disse Amore)
S’è d’uopo, il tuo fratello
Tiene agli omeri le ali.»
Rosea l’aurora stava
35Sovra i monti di Cipro.
E come l’onde scosse
Dall’aura mattutina,
L’una l’altra incalzando,
Spingonsi sulla riva
40Del solitario mare;
Così l’immensa turba
D’adorator divoti
Al sacro Pafo appressasi.
Appena il sol radiante
45L’ostel della Reina1
Di sua luce indorava,
Che le trombe sonore
Davan segno alla festa.
Da sè stesse si schiudono
50Con prolungato suono
L’alte dorate porte
Del misterioso tempio.
Nel suo vasto recinto
Regna profonda notte
55Intorno all’ampia conca,
Che sostien, d’ara in vece,
La grazïosa immagine
Della giovine Dea,
Che sola agli occhi appare
60In seno alle tenébre.
Quale bel giglio, carco
Di rugiadose stille,
Tale splende la Diva.
Rosa che timidetta
65S’apre sul verde stelo
Al sorriso d’Aurora,
Al paragon vien meno
Di quelle rosee labbra;
Luna di notte estiva
70Che velata traspare,
L’ineffabile dolce
Non ha del di lei guardo.
Lunghissima le scende
La chioma inumidita
75Alle molli ginocchia,
Quasi ella or or nascesse
Dalla marina spuma.
E stalle sulla fronte
Irradïata stella,
80Che col chiarore abbruna
La circondante notte.
Invisibile un coro
Canta in lente e soavi
Note dell’alma Dea
85La beltà inarrivabile
E l’infinita possa.
Cessato il sacro canto,
Le spesse turbe posano,
Appiè delle ministre
90Della Diva, i lor doni,
E, ripiene di speme,
Ritiratesi ai sacri
Boschi, sotto fresch’ombre,
Pongonsi a cento mense,
95Carche di cibi e vino.
Tosto che ’l vespertino
Ed ingrandito sole
Sta per salir sui colli
Della declive Ctima2,
100S’ode tre volte il suono
Della tromba, che annunzia
Che ’l Nume uscì dal tempio,
E fra la pace scorre
Del remoto giardino,
105Ove non è che giunga
Delle adunate genti,
A turbarle il riposo,
La romorosa gioja.
È il giardino di Venere
110Da roccie ovunque chiuso,
Fuorchè lungo la spiaggia
Del mar che quivi dorme
In un placido seno.
Tutti i fiori là spuntano
115E più belli e soavi.
Tutti vi sono i frutti
Più saporosi e dolci,
Come se nati fossero
All’aure d’altro cielo,
120Ai raggi d’altro sole.
Per quanto sovra l’isola
E sul mare imperversino
Le tempeste, nell’orto
Sacro vi regnan sempre
125Alta pace e riposo:
Appena la burrasca
Lievemente commuove
L’alte cime degli alberi.
È quivi giunta Venere.
130Ella il guardo sereno
Volge sul cheto mare,
Che là fra due mirteti
Nel giardino s’interna.
Amore ch’alle spalle
135Di Ciprigna s’è posto,
Colla mano fa cenno
Agli ascosi fratelli.
Ecco da stretta cala
Del mirteto a sinistra
140Esce massa bianchissima
Di spuma (chè tal pare)
Che pian piano percorre
Il vago azzurro seno.
Più la massa spumosa
145S’allontana dal lido,
Più ne cresce l’altezza,
Ed alfin, giunta al mezzo
Di quel seno, presenta
Piramidale forma.
150Da quel momento cadono,
L’un dopo l’altro, i veli
Trasparenti e lievissimi,
Ed ecco a poco a poco
L’occhio discuopre o crede
155Forme umane scoprir...
Già sotto ai rari veli
Allo sguardo presentansi
Distintamente forme
Leggiadrissime e svelte
160Di giovine vezzosa.
Così nel cristallino
Umor di cheto lago
Candidissimo giglio
Ritto immobile splende.
165Resta de’ tanti veli
Sol uno, e Citerea
Con trasporto in Talia
Riconosce sè stessa,
Quale, un tempo, sul lido
170Di Citera ella nacque.
Salì sul lido opposto
La novella Ciprigna.
Ecco torma leggiadra
Di Najadi e Nereidi
175Che l’attornia repente.
Al suon di non veduta
Conca principiano esse
Una danza, imitante
Il movimento d’onde
180Sonnacchiose, che sveglia
Pietra che vien lanciata
Da fanciullo, che prova
L’ambizïosa forza
Del pargoletto braccio.
185Son le Dive disposte
In quattro informi gruppi,
Che girando s’allargano.
Eccole in quattro cerchi
Divisi ancor tra loro.
190Ma fra breve si toccano,
Una serie formando
Di festoni. De’ vaghi
Momentanei festoni,
Collo sparir de’ nodi,
195Gli archi s’accrescono: ecco,
Tutti i quattro riuniti
In un solo gran cerchio,
Nel di cui centro stassi
La giovinetta Dea.
200E le Ninfe danzando
Cantan con chiara voce:
Te salutiamo, o perla
Delle marine Dive!
Tu le truci tempeste
205Coll’almo guardo accheti,
E con un volger d’occhio
Plachi l’onde commosse.
Nettun che col tridente
Tutta la terra scuote,
210La man già in alto stassi
E minaccia rovina
A cittade odïosa;
Ma te vede e si placa.
Te salutiamo, o stella
215Delle marine Dive!
Tu nell’ondoso regno,
A niun seconda, imperi.
E, compiuta fa danza,
Fra cespugli spariro.
220Diè Amore a suoi seguaci
Nuovo segno, da Venere
Visto, nel punto istesso
Che ver lui si volgea.
Così lieta gli disse:
225«O figliuol mio, tu fosti
Di questi giuochi autore.»
Già la novella Venere
Circondata si vede
Da Driadi e da Napee
230E da uno stuol di Ninfe,
Incoronate tutte
E di rose e di gigli.
Sostengono vaghissime
Intrecciate ghirlande,
235Ed al suon di soavi
Avene e di zampogne
Imitano in danzando
Or vago laberinto,
Or radïanti stelle,
240Or semplici o intralciati
Magnifici festoni,
Or padiglion guerriero,
Ora real palagio,
Tutto d’intorno ornato
245Da vezzose cariatidi.
Cessa il suon delle avene,
E cantano danzando:
Te salutiamo, o Dea,
Regina del Creato!
250La pianura t’aspetta
Tutta cinta di fiori,
La selva dal crin fosco
E ’l ratto ondoso fiume!
Te celebran Regina
255Tubando la colomba
E il sir della foresta
Col feroce ruggito,
E con man grata l’uomo
I tempj a te consacra.
260Te salutiamo, o Dea,
Della vita conforto!
Del Fato inesorabile
Il voler crudo tempri.
Così cantâr le figlie
265Della Terra, e ancor esse
Fra’ cespugli spariro.
Scendono nove suore
D’un declive laureto,
Carche di ricchi doni.
270L’uno da pinto vaso
Versa celeste ambrosia
Sulle chiome alla Dea.
Altra le bionde treccie
Sovra la fronte acconcia,
275Dalla terza un ammanto
Da Minerva tessuto
In dosso le vien posto.
Altre ai piedi le adattano
Moltissimi calzari,
280E smanigli alle braccia,
E pendenti alle orecchie:
E alfin cinte le tempia
Di magnifico velo,
Tutte le fan corona
285All’assemblea de’ Numi,
In vago anfiteatro
Che il sol morente indora,
Mentre che tutto intorno
Sotto l’opaco velo
290Dorme dell’ombre mute,
La numerosa corte
D’Amore e delle Grazie
L’adunanza figurano
Degli Olimpici Dei.
295Con timidetto passo
La novella Ciprigna
Va innanzi, e tutti i Numi
S’alzano al venir suo.
Le Camene incominciano
300Misteriose carole,
Del complicato corso
Degli astri imitatrici,
Al suon dolce cantando
Della fraterna lira:
305Diva, tu sei regina
Dell’Universo intero:
Quel che nell’acque nuota,
Quel che vola nell’aria,
Quel che in terra si muove,
310Te sovrana proclama.
Del sommo Giove un cenno
Fa tremare l’Olimpo,
Col tridente Nettuno
L’alto mare solleva,
315Scuote Pluto la terra,
Ma ognun prova tua possa.
De’ mortali Sovrana,
Sovrana degli Dei,
Il tuo poter si estende
320Ai confini dell’Orbe!
Trasportata di gioja
Venere abbraccia Amore
E le Grazie, lor dice:
«D’or innanzi le vaghe
325Vostre danze saranno
L’ornamento di tutte
Le mie feste, sì in Pafo
Che in Amatunta e in Gnido.
Esse ogni anno avran luogo
330Ne’ tempj a me sacrati.»