Che sola agli occhi appare 60In seno alle tenébre.
Quale bel giglio, carco
Di rugiadose stille,
Tale splende la Diva.
Rosa che timidetta 65S’apre sul verde stelo
Al sorriso d’Aurora,
Al paragon vien meno
Di quelle rosee labbra;
Luna di notte estiva 70Che velata traspare,
L’ineffabile dolce
Non ha del di lei guardo.
Lunghissima le scende
La chioma inumidita 75Alle molli ginocchia,
Quasi ella or or nascesse
Dalla marina spuma.
E stalle sulla fronte
Irradïata stella, 80Che col chiarore abbruna
La circondante notte.
Invisibile un coro
Canta in lente e soavi
Note dell’alma Dea 85La beltà inarrivabile
E l’infinita possa.
Cessato il sacro canto,
Le spesse turbe posano,
Appiè delle ministre 90Della Diva, i lor doni,
E, ripiene di speme,
Ritiratesi ai sacri
Boschi, sotto fresch’ombre,
Pongonsi a cento mense, 95Carche di cibi e vino.
Tosto che ’l vespertino
Ed ingrandito sole
Sta per salir sui colli
Della declive Ctima1, 100S’ode tre volte il suono
Della tromba, che annunzia
Che ’l Nume uscì dal tempio,
E fra la pace scorre
Del remoto giardino, 105Ove non è che giunga
Delle adunate genti,
A turbarle il riposo,
La romorosa gioja.
È il giardino di Venere 110Da roccie ovunque chiuso,
Fuorchè lungo la spiaggia
Del mar che quivi dorme
In un placido seno.
Tutti i fiori là spuntano 115E più belli e soavi.
Tutti vi sono i frutti
Più saporosi e dolci,
Come se nati fossero
All’aure d’altro cielo, 120Ai raggi d’altro sole.
Per quanto sovra l’isola
E sul mare imperversino
Le tempeste, nell’orto
Sacro vi regnan sempre 125Alta pace e riposo:
Appena la burrasca
Lievemente commuove
L’alte cime degli alberi.
È quivi giunta Venere. 130Ella il guardo sereno
Volge sul cheto mare,
Che là fra due mirteti
Nel giardino s’interna.
Amore ch’alle spalle 135Di Ciprigna s’è posto,
Colla mano fa cenno
Agli ascosi fratelli.
Ecco da stretta cala