Atto V

../Atto IV ../Nota storica IncludiIntestazione 14 maggio 2023 75% Da definire

Atto IV Nota storica
[p. 167 modifica]

ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Cratero, Stenone, popolo, guardie; poi Germondo.

̆Le guardie preparano lo strato nero dinanzi la statua di Attilio per decapitare Alerico.


Cratero. Ostinato Alerico ancor resiste? (a Stenone

Stenone. Vuol più tosto morir.
Cratero.   Re sventurato,
Oggi dunque morrà. Condanna ognuno
La pertinacia sua. Ciascun desia
Del mio signore e di Rosmonda il nodo.
Gli stessi amici di Alerico in odio
Han cangiata per lui la lor pietade.

[p. 168 modifica]
Germondo. Ahi qual vista fatale! lo che gioisco

Sol nell’esser pietoso, a mio dispetto
Usar dovrò la crudeltade?
Cratero.   I numi
Non che gli uomini, o re, dan lode e vanto
Alla pietà che inutilmente usasti;
Non aspettar ch’alla viltade arrivi
L’abusata clemenza.
Stenone.   I Goti istessi
Miran con sdegno il barbaro re vinto
E porgon voti per la sua caduta.
Germondo. Un sol non v’è, ch’in suo favor mi parli.
L’unico difensor del mio nemico
Io fui sinora e lo difesi invano.

SCENA II.

Alvida e detti.

Alvida. Ah signor, e fia ver che tua pietade

Perdoni il fallo mio?
Germondo.   Sì, di Stenone
Alle preci donai le proprie offese.
La tua colpa mi scordo, e da me apprendi
Quella virtù che non conosci ancora.
Alvida. Dunque nel mio perdon non ebbe parte,
Germondo, l’amor tuo? Sol di Stenone
Mi donasti alle preci?
Germondo.   Egli n’ha il merto.
Alvida. Il tuo dono riprendi. Io non mi curo
Di vita o libertà, se del tuo affetto
Lusingarmi non posso. Odio, abborrisco
Colui che me difese, e volontaria
Torno a ripor fra’ duri lacci il piede.
Stenone. Crudelissima donna!

[p. 169 modifica]
Cratero.   (Ecco d’amore

La follia, la baldanza). (da sè
Germondo.   Ah non volere
Sparger, Alvida, i tuoi sospiri al vento.
Scorda me che non t’amo. Ama chi t’ama,
Il tuo fato seconda; alfin Stenone
Degno è di te.
Alvida.   Degno di me quell’empio?
Non conosci il suo cor. Di tradimenti
Ha capace il desio, se non il braccio.
Se un codardo tu cerchi, in lui lo trovi;
Se un infido tu brami, in lui lo vedi.
Stenone. Che ti feci, crudel, per meritarmi
Così ingrata mercè?
Alvida.   Merta il mio sdegno
Quel che far non sapesti. Un mio comando,
Vili, ti spaventa e mi domandi affetto?
Va ch’indegno ne sei.
Stenone.   Perfida donna,
Amante sol di tradimenti! A prezzo
Dunque solo di colpe amor tu vendi?
Alvida. T’inganni; amata avrei la mia vendetta,
Non l’indegno ministro.
Stenone.   Oh! me infelice,
Che ti credei! Signor, mira a’ tuoi piedi
Un reo di mille morti. Io di Rosmonda
Tentai spargere il sangue; e uscì il comando
Dalle labbra d’Alvida. Ah sì, mi rese
Cieco a tal segno il mio protervo amore:
Puniscimi d’aver prestato orecchio
Alla femmina rea.
Germondo.   Perfidi, entrambi
L’ira mia proverete. E che vi fece
L’infelice Rosmonda?
Alvida.   Una rivale

[p. 170 modifica]
Tollerar non potevo.

Cratero.   (Oh mio rossore!
Qual germana mi dier l’inique stelle?)
Stenone. Sire, col mio valor...
Germondo.   Del tuo valore
Ebbi prove bastanti; anima indegna!
Zelo fu del mio amor che ti condusse
Rosmonda a insidiar? Troppo sai l’arte
Del simular. Non ti conobbi in volto
Un’ombra di timor. Non penò il labbro
A proferir menzogna. Ah, più spavento
Mi fa il tuo cor che mille spade.
Stenone.   Oh stelle!
Che non fa, che non tenta amore in petto?
Che non puote il suo foco?
Germondo.   Io vuo’ un esempio
Ai delitti d’amor lasciare al mondo.
Olà, l’empio s’arresti; indi al supplizio
Traggasi e mora.
Stenone.   Ah, della morte il ceffo
Non mi spaventa. La memoria infausta
D’aver amato di fierezza un mostro
D’orror m’ingombra e di tormento il seno.
Empia donna, morrò. Ma furia errante
T’agiterò co’ sdegni miei fin tanto
Che stanco il ciel di sofferirti in terra,
Te meco tragga ad infestar l’abisso.
(parte fra soldati

SCENA III.

Germondo, Alvida, Cratero e guardie.

Germondo. E tu, donna spietata...

Cratero.   Ah sire, in essa
Il mio sangue ravvisa. Io sudai tanto

[p. 171 modifica]
Per serbarle degli avi il fregio antico;

Non volerlo oscurar con un castigo
Che me ancora comprenda.
Germondo.   A' merti tuoi
Do la vita d’Alvida. Al patrio cielo
Guidala tosto e il temerario ciglio
Più non ardisca di fissarmi in volto.
Cratero. Oh di regia clemenza esempio raro!
Alvida. Ahi, sentenza più ria di morte stessa!
Sorte iniqua! empi Dei!... Che Dei? Che sorte?
Io feci il mio destino; a me s’aspetta
Di mia mano punirmi. Il don funesto
Che di vita, Germondo, a me concedi,
Poco mi gioverà. Con questa mano
Che non seppe svenar due rei nemici,
Svenerò questo sen; passerò un core
Ch’è l’oggetto maggior degli odi miei.
(parte fra guardie

SCENA IV.

Germondo, Cratero, guardie; poi Alerico fra’ custodi, preceduto dal ministro della sua morte.

Cratero. Misera umanità! Ma il suon funesto

Dei lugubri oricalchi il re ci addita
Condotto a morte.
Germondo.   (Se il mio cuor vedessi,
Sventurato Alerico! Ah, si richiami
Lo sdegno al volto; ad infierir m’insegni
Di tanti rei lo scellerato stuolo!) (da sè
Cratero. Infelice monarca! ove ti guida
Il feroce tuo sdegno? (Alerico s’avanza
Germondo.   Alfin sei giunto,
Orgoglioso Alerico, al punto estremo.
Osserva in quella spada il tuo supplizio;
Il carnefice tuo rimira in volto.

[p. 172 modifica]
Che te ne par? Vagliono questi un regno?

Vanne, eroe sconsigliato; ostenta a fronte
Della morte imminente il tuo coraggio.
Alerico. Stupirai nel veder con qual fortezza
Vadasi incontro a morte. Anima vile,
Tu non comprendi della gloria il pregio:
Questo vale assai più di regno e vita,
E per essa darei ben mille volte
La medesima vita e mille regni.
Germondo. Va, consolati dunque. Un raro esempio
Lasciar potrai alle future etadi.
Quanto mai parleran di tua fortezza
Le genti ammiratrici! In quante guise
Sì bella storia esponeran le scene?
Vedrassi un re che per non dar la figlia
In consorte all’amico, i suoi vassalli
All’eccidio comun barbaro espose.
Vedrassi un padre domandar vendetta
Per un figlio ch’in guerra estinto giacque.
Un ingrato vedrassi oltraggi ed onte
Render a chi gli offrio la vita e il regno.
Sì, sì, vedrassi un forsennato acceso
Di vana ambizion, morir contento
Per il folle desio di morir forte.
Ma non sperar ch’il popolo si desti
A pietà del tuo fato. Ira piuttosto
Avran contro di te; diranti stolto
Gli spettatori della tua tragedia.
Alerico. Audace, attendi pria ch’il giusto cielo
Faccia le mie vendette, indi potrai
Figurarti tragedie assai più orrende.
Germondo. S’incominci la tua. Ministri, a voi
La vittima consegno. Il giusto colpo
Cada sovra il suo capo... (Ah che mi sento
L’alma ancora a turbar!) Muoia Alerico!

[p. 173 modifica]

SCENA V.

Rosmonda e detti.

Rosmonda. Alerico morrà, ma si conceda

Alla figlia vederlo anche una volta.
Germondo. A che vieni, Rosmonda? A pianger mesta
Dell’ostinato genitor il fine?
Alerico. Ah se mi vieni a funestar col pianto,
Non conosci il mio duolo, o non lo curi.
Rosmonda. Padre, a renderti vengo quella vita
Che tu donasti a me; se la mia morte
Desiar tu mostrasti, anzi col ferro
Per mia cagion tu procurasti invano,
Giusto è che, pria del tuo morir, tu vegga
Spirar la figlia tua l’ultimo fiato.
Padre, io voglio morire, anzi lo deggio
Per compiacerti: aspro velen possente
Già succhiai colle labbra. Entro al mio seno
Chiusa è la morte, e mi rimane appena
Qualche istante di vita.
Germondo.   (Ahimè! che sento!)
Alerico. Oh figlia di me degna!
Rosmonda.   Alfin, Germondo,
Potrò dirti ch’io t’amo. Allora il dico
Ch’al padre mio, ch’al mio german non posso
Con l’amarti spiacer; s’io passo a morte,
Perdona al mio rigor; scorda l’ingrato
Labbro che ti oltraggiò. Conobbi assai
L’amor tuo, la tua fè; ma non potea
Senza oltraggio del padre esserti grata.
Deh, per pietà, di questo sol ti prego
Nanzi la morte mia. Tu, padre amato,
Perdona al tuo nemico: e tu, Germondo,
L’onte e l’offese al genitor perdona;

[p. 174 modifica]
Cessin col mio morir gli sdegni vostri,

S’io ne fui la cagion. Nella mia tomba
Siano gli odi sepolti. Il sangue sparso
Dell’estinto germano abbia l’intera
Sua vendetta da me; questo sol dono
Una figlia, un’amante al punto estremo
Chiede a un padre pietoso, a un re che l’ama.
Alerico. (Tacete, o di natura affetti ascosi,
Tacete per pietà; non mi destate
Palpito di dolor. Moriam da forti).
Germondo. E sarà ver, bella Rosmonda, oh Dio!
E sarà ver che l’innocente labbro
Bevuto abbia la morte?
Rosmonda.   Ah sì; mi sento
Giunta al fin della vita. Appoco appoco
Veggo il giorno oscurarsi e le pupille
Miran confusi e tenebrosi oggetti.
I palpiti del cuor crescendo vanno,
E la tremula voce ormai non vale
A scior i lenti ed interrotti accenti.
Alerico. Muori pur generosa oh figlia, oh vera
Parte di questor cor, del sangue mio.
Ci riunirem fra poch’istanti, in luogo
Più felice per noi.
Germondo.   Numi dei cieio,
Dovrò perder Rosmonda? Anima mia,
Così tosto mi lasci?
Rosmonda.   Oh Dio! Germondo,
Che gran perdita è mai questa che piangi?
Queste infelici mie frali sembianze
Onde ti piacqui, e queste infauste luci
Onde ferito il seno tuo rimase,
Vedrai tosto cangiarsi. In un momento
Vedrai sparir dal volto mio le rose
E di un tetro pallore annuvolarsi.

[p. 175 modifica]
Vedrai languir le spente luci e il labbro,

E in aspetto d’orror cangiarsi il riso.
Rese fredde le membra a te saranno
Oggetto di terror, se prima furo
Incanto agli occhi tuoi; questo, Germondo,
È il fin della beltà. Deh! non volerti
D’una perdita vile affligger tanto.
Ama lo spirto mio che lungamente
Viverà, t’amerà. Piacciati, amico,
Più di me la mia fede... Oimè! già l’alma
Mi si stacca dal seno; al labbro è giunta,
Più non reggo le membra. Addio, Germondo.
Addio, padre adorato... Addio... per sempre. (parte
Germondo. Tu la segui, Cratero. Il cor mi manca.
Lei uccide il veleno e me il dolore.
Porgile, se v’è tempo, alcun soccorso. (parte Cratero
Barbaro genitor, qual cor mai vanti?
Non ti muove a pietà la propria figlia
Ch’a morir tu guidasti?
Alerico.   Invan pretendi
Ch’io ti sveli del cor gli occulti moti.
Se soffrir dee l’umanità il dolore,
Dee la virtù dissimularlo ancora.

SCENA VI.

Cratero che torna e detti.

Cratero. Ah mio re, non fu a tempo il mio soccorso,

Rosmonda fra le mie braccia morio.
Germondo. Infelice Germondo! Ecco perduta
Ogni speranza mia. Mira, superbo, (ad Alerico
Il barbaro trofeo di tua fierezza.
Alerico. Non tormentarmi più. Venga la spada
A troncar il mio capo. Il cenno tuo

[p. 176 modifica]
Perchè sospendi? E tu, ministro eletto

Al mio supplizio, a che trattieni il colpo?
Germondo. Ah! no; vivi, spietato. Io più non curo
La morte tua. Fui di Rosmonda amante,
Pugnai per essa e sol per essa ho vinto.
Or ch’estinto è il mio ben, nè del tuo regno,
Nè di te più mi cale. Il tuo rimorso,
Il tuo tardo dolor sia del tuo cuore
Il carnefice crudo. Una sol morte
Poca pena sarebbe ai tuoi delitti.
Tante pene crudeli e tante morti
Prova, barbaro re, quante riserba
A te il vindice fato ore di vita.
Alerico. Oh spietato destino! Oh re inumano!
Dove s’intese mai ch’a un infelice
Si neghi anche la morte? Ah sì, crudele,
Vuoi eternar nel seno mio le pene,
Perchè siano le mie pene d’inferno.
Ma no, non v’è nell’orrido profondo
Pena eguale alla mia. L’ardente foco
Ch’abbrucia e non consuma, il freddo gelo
Ch’agghiaccia e non ristora, i crudi serpi
Ch’avvelenan co’ morsi e non dan morte,
Le acute spine, le taglienti spade,
Le pesanti catene, i bronzi, i marmi,
I schifosi bitumi, i zolfi accesi,
Le continue vigilie, i fieri stridi,
Le bestemmie, l’ingiurie e le percosse,
L’ugne rapaci delle crude arpie,
Delle furie l’aspetto, e degli orrendi
Spiriti condannati il torvo ceffo,
Gioie a me sembreriano1, appo di questa
Pena crudel ch’il seno mio tormenta.
Cratero, per pietà, quel ferro impugna,

[p. 177 modifica]
Passami il seno. Ah! che lo chiedo invano

Di Germondo al seguace. Amici, oh Dio!
Chi pietoso di voi mi vibra un colpo?
Figlio, ah figlio, tu almen da quella tomba
Scagliati e dammi morte; a tante pene
Togli tu almeno il genitor dolente.
Ma che? Tutti negate a me di morte
L’infelice conforto? Empi, crudeli!
Se non ritrovo il mio soccorso in terra,
Se mi niegan pietà gli Dei del cielo,
Invocherò le deità tremende
Dell’orribile inferno. Io non dispero
Dai ministri crudei del cieco abisso
Quella pietà che fra di voi non trovo. (parte

SCENA ULTIMA.

Germondo, Cratero, guardie.

Germondo. Infelice Rosmonda, idolo mio,

Che tal mi sei dopo tua morte ancora,
Qual astro infausto al nascer tuo splendea?
Sì, tu sei la mia sposa. Altra giammai
Non stringerommi al sen. Lo giuro ai Numi,
Lo giuro a te che qual mio nume adoro.
Ah se più non ti veggo, ancor ti sento
Però viva nel cor; nè per eterno
Variar di tempi, nè per fato avverso
Da questo seno in cui t’impresse amore,
Cancellerò la tua diletta immago.
Andiam, Cratero, e all’onorata spoglia
Diasi, qual merta, sepoltura illustre.
Andiam; che sopra il freddo busto ancora
Versar vogl’io fiumi di pianto. Andiamo,
Che se più resto, il mio dolor m’uccide.


Fine della Tragedia.

  1. Nel testo: sembrariano.