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ROSMONDA | 177 |
Di Germondo al seguace. Amici, oh Dio!
Chi pietoso di voi mi vibra un colpo?
Figlio, ah figlio, tu almen da quella tomba
Scagliati e dammi morte; a tante pene
Togli tu almeno il genitor dolente.
Ma che? Tutti negate a me di morte
L’infelice conforto? Empi, crudeli!
Se non ritrovo il mio soccorso in terra,
Se mi niegan pietà gli Dei del cielo,
Invocherò le deità tremende
Dell’orribile inferno. Io non dispero
Dai ministri crudei del cieco abisso
Quella pietà che fra di voi non trovo. (parte
SCENA ULTIMA.
Germondo, Cratero, guardie.
Che tal mi sei dopo tua morte ancora,
Qual astro infausto al nascer tuo splendea?
Sì, tu sei la mia sposa. Altra giammai
Non stringerommi al sen. Lo giuro ai Numi,
Lo giuro a te che qual mio nume adoro.
Ah se più non ti veggo, ancor ti sento
Però viva nel cor; nè per eterno
Variar di tempi, nè per fato avverso
Da questo seno in cui t’impresse amore,
Cancellerò la tua diletta immago.
Andiam, Cratero, e all’onorata spoglia
Diasi, qual merta, sepoltura illustre.
Andiam; che sopra il freddo busto ancora
Versar vogl’io fiumi di pianto. Andiamo,
Che se più resto, il mio dolor m’uccide.
Fine della Tragedia.