Atto III

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Atto II Atto IV
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Germondo con seguito, poi Alvida.

Germondo. Stelle, che vale il trionfar, che vale

Il posseder città, provincie e regni,
Se l’acquisto miglior, se il maggior dono
Mi contrasta la sorte? Ah sì, Rosmonda
Potria farmi felice ed ella il niega.
Che risolvo? che fo? Vivo Alerico,
Giammai si piegherà. Se il padre uccido,
Essa non vive o m’odia. Ah in ogni guisa
Infelice mi rende amore e sdegno.
Tentisi un’altra via. Rigor s’adopri,
Ed in lei scemerà l’orgoglio. Tremi,

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Tremi l’audace donna... Eccola... giunge...

L’odio mi bolle in cor... Che fo? S’eviti.
Alvida. Signor, t’arresta e non temer ch’io voglia
Favellarti d’amor. Cura più grave
A te mi guida. In tuo favore io deggio
Un arcano svelar.
Germondo.   Parla, che mai
Può cotanto impegnar tua vigil cura?
Alvida. Fa che partan le guardie; ognun potrebbe
Il segreto tradir.
Germondo.   Partite. (le guardie si ritirano
Alvida.   (Oh! stelle,
Secondate il disegno). (da sè
Germondo.   Or che siam soli,
Puoi l’arcano svelar.

SCENA II.

Rosmonda e detti.

Rosmonda.   Deh non curarti

Un arcano saper da cui rifugge
Atterrito il pensier. All’assassinio
T’apristi, Alvida, inutilmente il varco;
Pensa meglio a te stessa.
Alvida.   (Ah mi prevenne,
Mi scoprì la rival!) (da sè
Germondo.   Non parli, Alvida?
Ti cambi di color? Tremi? Che mai
Deggio creder di te? Parla, Rosmonda:
Tu del suo turbamento a me disvela
La cagion se ti è nota.
Rosmonda.   In lei...
Alvida.   T’accheta,
Svelerò col mio labbro il mio disegno.

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S’ebbi ardir di tentarlo, avrò coraggio

Di gloriarmene ancor. Germondo, in odio
Il mio affetto cangiaro i tuoi disprezzi;
La tua morte vogl’io. Con questo ferro
Dartela destinai, con questo ferro
Ch’Alerico mi porse, in me fidando
Le sue giuste vendette. Ecco, Rosmonda,
Ecco salvo l’amante in onta al padre, (getta lo stile
Dileggia il mio furor, parla in mio danno,
Contra di me tutte le furie irrita
Di Germondo crudel; ma da me apprendi
Come libera parli un’alma grande;
Lieta almeno morrò: che se di mano
La vendetta mi trasse il rio destino,
Cuore ebb’io di tentarla, e tu superba,
Quella virtù nel mio valor ravvisa
Che il tuo german da te sospira invano. (parte

SCENA III.

Germondo e Rosmonda, poi soldati.

Germondo. Custodi, olà s’arresti e s’incateni

L’empia che fugge, e al cenno mio si serbi.
(alcuni soldati seguono Alvida
Bella, tu mi salvasti. Io questa vita
Riconosco da te. Grazie agli Dei
Scemò il tuo sdegno e la pietà riprese
Le vie del tuo bel cor.
Rosmonda.   Sì, ti difesi,
Ma non fu l’opra mia pietà qual credi.
Per non macchiar d’inonorato eccesso
La paterna vendetta, io ti sottrassi
Dal sacrilego colpo. Ah se quel ferro
Veduto avessi al genitore in pugno,

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Parlato io non avrei, ma co’ miei voti

Pregato il ciel che secondasse il colpo.
Germondo. Torni al barbaro stile? Orsù, Rosmonda,
Veniamo al fin delle contese nostre.
Stanco son di soffrir l’alterno giuoco
Di speranza e timor. Vieni. Il mio core
Tutto ti vuo’ svelar.
Rosmonda.   No, non sperate
Vincermi per inganno. Io qui t’ascolto,
Parla se vuoi.
Germondo.   Guardie, apprestate i seggi. (alle guardie
Sdegnerai di seder presso Germondo
Nell’atrio regio e de’ custodi a vista?
Rosmonda.   Sederò. (Che dirà?) (da sè
Germondo. (Faccia il rigore
Ad onta del mio cuor la prova estrema). (da sè
Rosmonda, amor solo d’amor si pasce;
Or dimmi: pensi tu che amarti io voglia
Sempre senza speranza, e ch’il mio affetto
Ad onta del tuo sdegno abbia a serbarti?
Ah sì, stanca il mio cor quell’ostinato
Rigor con cui mi sprezzi; omai Rosmonda
Tutto l’affetto mio converte in sdegno;
Pria però ch’una fiamma all’altra ceda
Torno a offrirti il mio cor; di lui disponi,
Di te stessa decidi.
Rosmonda.   Non violento
Il tuo cor a serbarmi affetto o sdegno.
Amami se lo vuoi, ma di mercede
Non lusingarti; odiami pur se il brami,
Nè sperar d’atterrirmi. Ho in seno un core
Incapace a pentirsi, e se provasti
La mia costanza in ricusar l’affetto,
La medesima sorte avrà lo sdegno.
Germondo. Crudel, sarai contenta. Ormai cominci

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La tua fortezza a sofferir costante

L’ira fatal d’un vilipeso amore.
Sarà scopo primiero all’ire mie
L’empio tuo genitor. S’ei ti consiglia
A insana ferità, provi egli stesso
De’ rei consigli il miserabil frutto.
Alerico morrà.
Rosmonda.   Numi, che ascolto?
Alerico morrà? Dove apprendesti
Questa barbara legge? Io son la rea,
Io quella son che ti disprezza e irrita,
E l’innocente genitor la pena
Dee sopportar?
Germondo.   Come? Innocente chiami
De’ tuoi barbari sdegni il padre tuo?
Non li fomenta forse e non calpesta
Fiero la mia pietade? Il voglio estinto.
Rosmonda. E tu dici d’amarmi? E meco vanti
Tanto amor, tanta fè? Come la figlia
Amar può mai chi il genitor le uccide?
Germondo. Ah Rosmonda, se amata io non t’avessi,
Non vivrebbe Alerico. Il suo furore
Provocò l’ira mia; la tua bellezza
Disarmò il mio rigor. Ma più non soffre
Oltraggiosi disprezzi il mio decoro.
Tempo è omai ch’a pietà chiuda l’orecchio,
E sol le voci di giustizia ascolti.
Rosmonda. Risolvesti, crudele?
Germondo.   Ho risoluto...
Ma tu, bella Rosmonda... ancor potresti
Farmi cangiar, e nel flessibil core
All’usata clemenza aprire il varco.
Tu puoi salvar il genitor; decidi.
Rosmonda. A qual prezzo, signor, m’offri un tal dono?
Germondo. Dammi la destra e il genitor ti rendo.

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Posso chiederti men?

Rosmonda.   Troppo mi chiedi,
Nè paga puoi sperar l’audace brama.
Germondo. Dunque il colpo si vibri. Olà.
Rosmonda.   (Che tenta?)
(s’avanza una guardia
Germondo. Cerchisi d’Alerico, e pria ch’il sole
Precipiti all’occaso...
Rosmonda.   Ah no, spietato;
Il decreto fatal sospendi ancora.
Germondo. Attendi un nuovo cenno. Io compatisco,
Rosmonda, il tuo dolore. Alfin sei figlia;
Ma tu pur compatir il mio dovresti,
Che non è già minor quel di un amante.
Mira quanto hai poter sovra il cor mio;
Mi disarmi a tua voglia; a un sol tuo cenno
La vendetta sospendo; un sol tuo sguardo
Tutto lo sdegno mio cangia in pietade.
Sembrati tutto ciò degno, crudele,
Del tuo disprezzo? Ed ostinata ancora
Mi negherai della tua destra il dono?
Rosmonda. Germondo, il caso mio, la mia sventura
Merta qualche pietà. T’ho amato un giorno,
Ora amarti non posso. A te serbai
Questa man, questo cor. Ma il cor, la mano
All’uccisor del mio german non porgo.
Mi cale, è ver, del genitor la vita,
Ma il prezzo ond’ho a comprarla è troppo caro,
Se un atto di viltà costar mi deve.
Germondo. Chi ti vieta l’amarmi?
Rosmonda.   Attilio estinto,
Alerico sdegnato.
Germondo.   E se Alerico
T’imponesse d’amarmi, avresti a sdegno,
Cara, l’affetto mio?

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Rosmonda.   Nol so. Potrebbe

Forse il cenno del padre... (Ah troppo dissi,
Troppo incauta trascorsi). Il padre mio
Tuo nemico fia sempre; ed io costante
Non cesserò di secondar suoi sdegni.
Germondo. Che barbara virtù! Guardie, Alerico
Trovisi; a me si guidi, e s’ei ricusa,
Strascinato al mio piè... Ma se non erro,
Minacciosa fuggir la reggia il veggo.
Si trattenga l’audace e a me sia scorto.
Rosmonda. (Stelle, che mai sarà?) (partono alcune guardie
Germondo. (Resisti, o core,
Segui ad esser crudel con un ingrato).

SCENA IV.

Alerico fra guardie, e detti.

Alerico. Che si cerca da me? Rosmonda infida,

Che fai tu qui col mio nemico? Indegni,
Mi chiamaste voi dunque acciò ch’io fossi
Presente a’ scorni miei?
Rosmonda.   Padre, t’inganni,
E Rosmonda infedel tu chiami a torto.
Son costante anche troppo, e il tuo divieto
Con troppa gelosia serbo nel cuore.
Chiedi a Germondo, o genitor, se un guardo,
Se una dolce parola o un sol sospiro
Da me ottenne il suo pianto; a te pensando
Sprezzai minaccie, ricusai promesse,
E il sangue offersi della destra in cambio.
Alerico. Lo volessero i Dei!
Germondo.   Cruda, ostinata
Imitatrice della tua ferocia
Fu Rosmonda finor; qui non venisti

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Amori ad ascoltar. D’altro si tratta

Che di teneri affetti. Or si decide,
Alerico, di te. Del tuo destino
Trattasi in questo punto, ed è ben giusto
Ch’al decreto fatal che ti condanna
Tu sia presente, e la cagion ne sappia.
Alerico. Dalla tua ferità che sperar posso
Fuor che strazi ed oltraggi e morte alfine?
Previdi il mio morir; ma non credei
Mirar la figlia mia sedere appresso
Al tiranno crudel che mi condanna.
Germondo. Ma non sai tutto ancor. Questa tua figlia
È lei che ti condanna, e la tua morte
Pende dai labbri suoi.
Alerico.   Figlia inumana,
Perchè meco crudel? Non senti, ingrata,
Le grida onnipossenti di natura?
Rosmonda. Padre, udisti le accuse, or le difese
Piacciati d’ascoltar. Posso salvarti
Se tradisco un tuo cenno. Io ti do morte
Se faccio il tuo voler. Chiede Germondo
La mia destra o il tuo sangue. Ecco il cimento
Non preveduto, in cui quel che si perde
Più di quel che s’acquista ognor rassembra.
Ubbidirti vorrei; vorrei salvarti.
Abborro il nodo e la tua morte io temo,
Tu che l’arbitro sei, tu mi consiglia.
Germondo. Alerico, da quelle di Rosmonda
Passi nelle tue labbra il tuo destino:
O mia sposa la figlia o a morte il padre.
Alerico. Morte, morte: la sprezzo, anzi la bramo.
Lascia che al sen ti stringa, o figlia amata;
La tua virtù, la tua salda fortezza
Fa che ogni oltraggio al reo destin perdoni;
Se a me fido si serba il tuo bel core,

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Nulla perdo perdendo anche la vita.

Germondo. (Che forsennato ardir!) (da sè
Rosmonda.   Ma padre... Oh stelle!
Tu morir, tu lasciarmi? (piange
Alerico.   E che ci toglie
Questa morte che piangi? A me di vita
I più miseri giorni; a te un cadente
Oppresso genitor. Del tuo nemico
Temi sola restar fra i lacci indegni?
Sai la via di seguirmi. Un colpo alfine
Può deluder dell’empio ogni speranza.
Germondo, udisti, io di morir m’eleggo.
Germondo. E morte avrai. Custodi, il re superbo
Di catene si cinga.
Rosmonda.   Ah no, sospendi
La sentenza fatalo. Tanto rigore
Differisci, Germondo.
Germondo.   O la tua destra
Dammi, o vada a morire.
Rosmonda.   Oh padre! oh sorte!
(piangendo
Alerico. Figlia, se del mio amor punto ti cale,
Mostrami il tuo valor; stilla di pianto
Guardati di versar sul mio destino.
Mira se pianger vuoi, mira l’oggetto
Delle lagrime tue. D’Attilio il sangue
Dal tuo cuore le sprema, e alla vendetta
Ecciti il tuo dolor, non ai sospiri.
A me più non pensar, salvo ch’allora
Ch’imitar tu dovessi il mio coraggio.
Rosmonda. Ahimè! mancami il cor.
Alerico.   Deh parti, o figlia,
Parti; non funestar con il tuo pianto
L’intrepidezza mia.
Rosmonda.   Deh! padre amato,

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Non mi staccar...

Alerico.   M’irriterai se resti.
Rosmonda. Ubbidisco. (Che pena!) Ah! tu crudele, (a Germondo
Pensa per tua cagion quanto sospiro,
Tu perfido Germondo...
Alerico.   Olà, si tronchi
L’inutile garrir. Col tuo nemico
Vi vuol ferro o velen, non femminili,
Sconsigliate rampogne. Udisti il cenno;
Parti, non replicar.
Rosmonda.   Barbara sorte! (parte

SCENA V.

Germondo, Alerico e guardie.

Germondo. (Ed è pur ver, ch’in uman petto alligni

Cotanta ferità? Barbaro mostro,
Ti stancherò. L’aspetto de’ tormenti
Cangerà tant’orgoglio). Olà, si guidi
In carcere quell’empio.
Alerico.   Eh dammi morte,
Termina di trionfar.
Germondo.   Mille tormenti
Preceder denno il tuo morir. Superbo,
Userai tu il coraggio ed io lo sdegno,
E vedremo di lor chi cede il primo.
Perfido, vuo’ mirar sin dove arriva
La pertinacia tua. Ah, che fra poco
Ti vedrò forse dimandar pietade.
Eseguite il mio cenno. (alle guardie, e parte

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SCENA VI.

Alerico incatenato e guardie, poi Alvida fra custodi.

Alerico.   Eh! mal conosci

D’Alerico il valor. Pietà non chiedo,
Dalla morte non fuggo. Amato figlio,
Non paventar, non tradirò il tuo sangue,
Non macchierò il tuo nome; andiam, custodi.
Stelle! Alvida fra’1 lacci? Ingiusti Numi,2
Si protegge3 lassù l’anime indegne?
Alvida. Signor, qual ti riveggio?
Alerico.   Il mio nemico
La tirannia più differir non seppe.
Ma tu pur fra’ custodi?
Alvida.   Ah sì, la trama
Scoprì Germondo e me punir destina.
Alerico. Non sapesti vibrar sicuro il colpo?
Alvida. Fu impedito per tempo.
Alerico.   E da qual mano?
Alvida. Stupirai s’io te ’l dico.
Alerico.   Ah! non tenermi
Celato il nome suo.
Alvida.   Rosmonda istessa
L’inimico difese.
Alerico.   Ah no, t’inganni.
Rosmonda è sangue mio; con troppo zelo
Serba del mio voler le leggi in seno,
Nè ardirebbe impedir le mie vendette.
Ma com’ella potea de’ tuoi disegni
Svelar l’arcano ed impedir l’effetto?
Alvida. Tutto udì non veduta, allor che il ferro
Mi porgesti tu stesso. Ardì superba

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Rimproverar di vergognoso eccesso

L’intrapresa vendetta; indi a Germondo
Ratta volò, tutto scoperse in tempo
Ch’io tratto aveva il traditore al varco.
Alerico. Stelle, e ciò sarà ver? Rosmonda infida
Mi tradisce così? Così m’inganna
Una figlia sleal? Ma quel suo pianto,
Quei frequenti sospiri, e quel sovente
Tremar del mio destino, eran pur segni
Del più tenero affetto. Io pur l’intesi
Ricusar per piacermi e sposo e trono:
Numi, e ciò sarà ver?
Alvida.   Miser, tu credi
Di donna amante ai finti detti e al pianto
Speri tu che la figlia antepor voglia
L’amor del padre al dolce amor di sposo
Se di ciò ti lusinghi, è folle inganno.
Odia in te l’empia donna il suo rimorso,
La tua morte desia; quel pianto istesso
Che di figlia credesti umil rispetto,
Fu di tenera amante accorto inganno.
Misero genitor...
Alerico.   Ah! taci, io sento
Svellermi dalle furie il cor squarciato.
Stelle, che colpo è questo? Io non credea
Che tant’oltre giungesse il rio destino.
Fra le tante sventure un sol conforto
Rimaneami in Rosmonda, ed or l’indegna
Il rossor aggiungendo a’ miei martiri,
All’estremo condusse il mio cordoglio.
Per te, barbara figlia, il più infelice
Della terra son io. Crude catene,
Or comincio a sentire il vostro peso,
Or che voi mi vietate il trar dal seno
D’una perfida figlia il sangue infame.

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Misero! invan mi scuoto; invano io spero

L’onte mie vendicar. Deh vieni, amico,
Soccorri il tuo signor. (a Stenone ch’arriva

SCENA VII.

Stenone con soldati e detti.

Stenone. Lasciate, indegni,

La donna in libertade, o il vostro sangue
Tutto si spargerà se vi opponete.
(5’ attaccano li soldati di Stenone con quelli che custodivano
Alvida, quali vengono posti in fuga; gli altri si assicurano
di Alerico.

Vien meco, non temer. (ad Alvida
Alvida.   Seguo i tuoi passi.
(parte con Stenone

SCENA VIII.

Alerico solo fra custodi.

Alerico. Ancor questo di più? L’empio vassallo

Me abbandona fra’ lacci, e il suo valore
Avvilir non paventa in opra indegna?
Ah più fede non v’è. Da’ rei mortali
Fuggì raminga e ricovrossi in cielo.
O terra scellerata! o tristo mondo!
O inferocita umanità degli empi!
Fuggo, fuggo da voi, fuggo da questa
Selva d’orride belve, e a te ricorro,
Morte altrui sì penosa, a me sì cara;
Penosa altrui, perchè del vizio amante,
Sì cara a me, perchè del giusto amico.
(parte fra custodi



Fine dell’Atto Terzo.

  1. Nel testo dello Zatta è sempre stampato fra.
  2. Nel testo c’è il punto fermo.
  3. Così nel testo.