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ROSMONDA 141
S’ebbi ardir di tentarlo, avrò coraggio

Di gloriarmene ancor. Germondo, in odio
Il mio affetto cangiaro i tuoi disprezzi;
La tua morte vogl’io. Con questo ferro
Dartela destinai, con questo ferro
Ch’Alerico mi porse, in me fidando
Le sue giuste vendette. Ecco, Rosmonda,
Ecco salvo l’amante in onta al padre, (getta lo stile
Dileggia il mio furor, parla in mio danno,
Contra di me tutte le furie irrita
Di Germondo crudel; ma da me apprendi
Come libera parli un’alma grande;
Lieta almeno morrò: che se di mano
La vendetta mi trasse il rio destino,
Cuore ebb’io di tentarla, e tu superba,
Quella virtù nel mio valor ravvisa
Che il tuo german da te sospira invano. (parte

SCENA III.

Germondo e Rosmonda, poi soldati.

Germondo. Custodi, olà s’arresti e s’incateni

L’empia che fugge, e al cenno mio si serbi.
(alcuni soldati seguono Alvida
Bella, tu mi salvasti. Io questa vita
Riconosco da te. Grazie agli Dei
Scemò il tuo sdegno e la pietà riprese
Le vie del tuo bel cor.
Rosmonda.   Sì, ti difesi,
Ma non fu l’opra mia pietà qual credi.
Per non macchiar d’inonorato eccesso
La paterna vendetta, io ti sottrassi
Dal sacrilego colpo. Ah se quel ferro
Veduto avessi al genitore in pugno,