Rivista di Scienza - Vol. II/La previsione dei fatti sociali
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Il diverso grado d’importanza dato alla «previsione» e alle questioni che ad essa si connettono, si presterebbe assai più che qualunque altro carattere a servir di base ad una classificazione naturale dei vari sistemi filosofici che, attraverso i libri e gli articoli di rivista, vanno contendendosi l’egemonia del pensiero contemporaneo.
Come un caso estremo della tendenza che chiamerei anti-previsionista si potrebbe citare quello di Benedetto Croce, che, in una sua recente, e un po’ troppo ardita, scorreria nel campo previsionista — provocata appunto dalla pubblicazione del volume di cui qui si parla — è arrivato al punto di asserire che «ciò che chiamiamo prevedere non è altro che un modo immaginoso ed enfatico per esprimere, non già il futuro, di cui non sappiamo e non possiamo sapere nulla, e che non è materia di conoscenza, ma il presente: non è dunque un prevedere ma un vedere». (Critica, Maggio 1907, pag. 235).
All’estremo opposto si trovano invece i «pragmatisti» per i quali — come, per esempio, per il Papini (V. il Saggio sulla Previsione da lui pubblicato qualche anno fa negli Atti della Società d’Antropologia di Firenze) — il prevedere è l’unico e supremo scopo di ogni specie d’attività mentale, e per i quali l'indicazione di ciò che si prevede è la misura non soltanto di ciò che si sa ma perfino di ciò che si crede, e costituisce l’unico modo, non solo di provare la verità, ma anche di determinare il significato di qualunque affermazione o dottrina.
Una posizione in certo modo intermedia tra questi due estremi è quella occupata da quei positivisti che, in perfetta conformità collo spirito della dottrina Comtiana, considerano la maggiore o minore portata, o precisione, o certezza delle previsioni, proprie a ogni singola scienza, come il sintomo più caratteristico e il criterio più sicuro per giudicare del suo grado di sviluppo e della sua maggiore o minore distanza dallo «stato di perfezione», raggiunto ora soltanto dalle scienze matematiche e astronomiche.
È appunto tra questi positivisti che si schiera l’autore del presente volume, dedicato in particolare allo studio delle questioni riguardanti i limiti e i fondamenti della previsione nel campo dei fatti sociali.
Di tali questioni un gruppo importante, da lui specialmente considerato, è costituito da quelle che si connettono alla distinzione tra le previsioni propriamente dette — affermanti semplicemente che un dato fatto avverrà, o non avverrà — e le previsioni che si potrebbero qualificare come «condizionali», asserenti invece che un dato fatto avverrebbe, o non avverrebbe, nel caso che un dato altro fatto avvenisse o non avvenisse.
L’importanza di questa distinzione, in riguardo alle scienze sociali, dipende dal fatto che, solo mediante essa si può giungere a riconoscere come l’apparente irregolarità e indeterminazione dei fatti storici e sociali sia compatibile col sussistere per essi di leggi e di uniformità di coesistenza e di successione non meno costanti e inflessibili di quelle che si manifestano nel campo dei fenomeni fisici o meccanici.
Il Limentani insiste nel far rilevare come, anche per le scienze che hanno per oggetto il mondo materiale, a cominciare dalla stessa astronomia, quando si parla di previsioni sicure, basate sulla conoscenza di leggi «necessarie», si pecca d’inesattezza. Una legge, per quanto inflessibile, in quanto non può affermare altro che questo: che ogni volta che si presenta un dato fatto qualche altro ne consegue, non abilita per sè sola a prevedere alcunchè. Essa c’informa soltanto che, se noi fossimo sicuri che un dato fatto avvenisse o fosse avvenuto, noi saremmo anche sicuri che ne avverrà, o che ne sarà avvenuto, un altro, ma non ci informa minimamente della maggiore o minore probabilità che il primo fatto si avveri, o si sia avverato.
Le leggi non sono, in altre parole, che delle specie di macchine che servono ad utilizzare certe date previsioni, o conoscenze, per ottenerne delle altre; esse non ci fanno prevedere nulla se non in quanto noi prevediamo, o sappiamo, già qualche cosa indipendentemente da esse.
Dal che segue che l’incapacità di arrivare, in un dato campo, a delle previsioni sicure e a delle determinazioni precise del corso futuro dei fatti studiati, non può affatto essere addotta come una prova dell’assenza, in tale campo, di leggi, o del non valere, per esso, il «principio di causalità». Tale incapacità può infatti anche dipendere da circostanze di tutt’altra indole, per esempio dalla difficoltà di constatare, in ciascun caso speciale, se siano o no presenti tutte le condizioni richieste, perchè ad esso si possa ritenere applicabile una data legge o norma di previsione, oppure dall’impossibilità di isolare o proteggere date successioni di cause ed effetti dall’influenza di circostanze perturbatrici, appartenenti ad altre successioni, parallele ed indipendenti, di cause e di effetti.
Il primo caso potrebbe essere rappresentato dallo stato in cui si troverebbero le scienze mediche se il loro studio, pure conducendo alla precisa determinazione di efficaci modi di cura delle varie malattie, non riuscisse a dare che delle indicazioni mal sicure o fallaci per quanto riguarda la loro diagnosi.
Il secondo caso invece dallo stato in cui si troverebbe l’astronomia se il nostro sistema solare fosse troppo esposto a passaggi o a visite di astri che, pure obbedendo anch’essi alla legge di attrazione universale (come vi obbedisce anche la tegola che casca sulla testa a un pacifico viandante), non avessero dato anteriormente all’astronomo alcuna notifica della loro esistenza o delle loro traiettorie.
Sono di questa seconda specie i casi considerati dal Cournot nella sua classica analisi del concetto di azzardo e di «caso fortuito», analisi che lo portò come è noto a concludere che: «Notre science des causes pourrait se perfectionner au point de ramener la théorie du monde à n’être qu’un théorème de mathématique sans que ce perfectionnement fît évanouir l’idée de fortuite et ses conséquences rationnelles». (F. Mentré, Vie de Cournot nella serie «Philosophes et Penseurs». Blond 1907).
A queste considerazioni, applicabili a ogni genere di ricerca scientifica — tanto per esempio alle statistiche e alle previsioni del buono e del cattivo tempo quanto a quelle sulle crisi economiche o sull’avvenire delle razze umane — altre ve ne sono da aggiungere, aventi valore soltanto per il caso delle scienze sociali.
Il Limentani considera tra le altre quelle che si connettono al fatto che, nella vita degli individui e delle Società, le previsioni stesse o le aspettative, riguardanti il verificarsi di un dato avvenimento, costituiscono alla loro volta un nuovo elemento, o un nuovo fattore, di cui bisogna tener conto nel rispondere alla domanda se quel dato avvenimento, o altri che ne dipendono, finiranno per verificarsi o no.
Chi abbia ben compreso come questo, e nient’altro che questo, sia ciò che si afferma quando si dice che gli uomini, o certi dati uomini, possono, colle loro decisioni volontarie, influire, naturalmente fino a un certo punto, sul corso della storia, non trova poi alcuna difficoltà a riconoscere come una tale efficacia della volontà umana non solo è affatto compatibile col sussistere di qualsiasi rigorosa dipendenza o connessione causale tra i fatti sociali, ma rappresenta anzi uno degli aspetti più interessanti e importanti del rapporto di «causalità».
Un’altra notevole conseguenza metodologica derivante dalle considerazioni esposte dal Limentani sul carattere delle somiglianze e differenze tra le scienze sociali e le scienze fisiche naturali, è quella che riguarda l’impiego delle utopie come mezzo di ricerca.
La costruzione di schemi fantastici di società discostantisi da qualunque tipo reale e conosciuto, sia per le qualità che si attribuiscono agli uomini che le compongono, sia per le condizioni dell’ambiente nel quale la vita di questi è supposta svolgersi, è stata spesso, e in ogni periodo di coltura, adoperata come uno dei più efficaci mezzi di propaganda a favore dell’introduzione di date riforme, o modificazioni, negli ordinamenti sociali esistenti. Si è anche spesso utilizzato questo stesso mezzo per lo scopo inverso di satireggiare o ridurre all’assurdo (come se ne ha un esempio classico nelle Ecclesiazuse di Aristofane) date proposte o progetti di riforma sociale.
Un tale processo di prova e di confutazione non è, se bene si guardi, se non un’amplificazione, o un caso estremo, di quello che è costretto a seguire ogni legislatore che si trovi a dover giudicare della maggiore o minore convenienza di adottare qualche nuovo provvedimento, o di dar vita a qualche nuova istituzione, dei cui effetti o del cui modo di funzionare, l’esperienza del passato, o di altre nazioni, non gli offra alcun diretto mezzo di previsione.
Allo stesso modo, ora, come il processo di ragionamento seguito in tali casi dal legislatore si presta ad essere adoperato anche dallo scienziato che, indipendentemente da ogni considerazione delle possibili applicazioni pratiche delle conclusioni a cui sarà portato, si proponga semplicemente di ricercare quali sarebbero gli effetti di date ipotetiche variazioni sul modo di funzionare di dati organismi sociali, così può anche avvenire del processo più complicato di costruzione delle utopie.
Per uno studioso di scienze sociali la determinazione concreta, e anche minuziosa, di ciò che avverrebbe, per esempio, se, nella nostra società l’istituzione della famiglia venisse abrogata o sostituita con qualche cosa di simile a ciò che è proposto da Platone per i guardiani della sua Repubblica, può presentare un interesse «scientifico» affatto analogo a quello che presenta per il geometra lo studio delle proprietà di uno spazio pel quale cessi di esser vero il quinto postulato di Euclide, o, per il meccanico, lo studio del moto di corpi che, invece di essere soggetti alla legge dell’attrazione universale, si attirassero con forze dipendenti da qualche altra funzione della loro distanza.
Gli economisti della scuola matematica (tra gli altri in modo speciale V. Pareto) insistono spesso nel far rilevare l’analogia che sussiste tra i procedimenti ipotetici da loro impiegati per lo studio dei fenomeni di scambio, e l’impiego che si fa, in meccanica razionale, delle considerazioni relative ai movimenti virtuali delle varie parti di un meccanismo (cioè ai movimenti che queste potrebbero assumere ma non assumono, nè si ha ragione di credere che assaliranno) per la previsione dei loro movimenti reali, e per la determinazione delle condizioni da cui questi dipendono.
Precisamente alla stessa classe di artifici logici appartiene anche l’impiego che essi stessi fanno di un ipotetico Robinson per lo studio dei fenomeni elementari della produzione e dello scambio, o l’impiego che parimenti si potrebbe fare della favola del Re Mida, o delle rappresentazioni fantastiche del paese di Cuccagna, per combattere i pregiudizi mercantilisti, o per chiarire i rapporti che sussistono tra il valore delle merci e la loro rarita, o difficoltà di acquisto.
Tra gli esempi di ricorso a processi di questa specie nelle scienze fisiche, si può citare la non abbastanza nota fantasia del Torricelli sulle Nereidi (nelle sue Lezioni Accademiche) nella quale l’esame del modo in cui dovrebbero condursi degli esseri che vivessero in un liquido di peso specifico superiore a quello del loro corpo e degli oggetti da loro adoperati, è applicata per mettere in luce le deficienze e l’incoerenza del concetto Aristotelico di una distinzione «assoluta» tra corpi pesanti e corpi leggieri, e per dimostrare la relatività di tale distinzione.
Precisamente allo stesso modo la nota novella di Giulio Verne, Il dottor Ox, o l’altra più recente, dello stesso genere, del Wells Nei giorni della Cometa, — nella quale sono considerate le conseguenze che deriverebbero da un repentino miglioramento, o raddolcimento, del carattere degli uomini, o dalla soppressione brusca delle loro tendenze più brutali, — potrebbero venire utilizzate per mettere in luce la dipendenza che sussiste, anche nel campo morale, tra il pregio che si attribuisce a date azioni e la loro rarità o difficoltà di produzione.
Un altro esempio di applicazione di questo stesso metodo allo studio dei sentimenti morali ci è fornito dall’altra novella fantastica dello stesso autore L’uomo invisibile, la quale trova il suo riscontro antico nella favola dell’anello di Gige, già adoperata da Platone nella Repubblica appunto per rappresentare, quasi in caricatura, le condizioni in cui verrebbero a trovarsi uomini che riescissero a rendersi indipendenti da ogni freno proveniente dal timore di essere puniti o biasimati per qualunque mala azione che a loro venisse in mente di commettere.
Strettamente affini a queste, per quanto riguarda la loro portata psicologica ed etica, sono pure la numerose variazioni fantastiche del tema del nano fra i giganti o del gigante fra i nani — dall’Ercole tra i Pigmei ai Viaggi di Gulliver, dalle avventure di Hassan nelle Mille e una Notti a quelle di Gargantua, dal Micromegas di Voltaire al Cibo degli Dei dello stesso Wells atte tutte a suggerire riflessioni sulla dipendenza delle nostre valutazioni dei diritti e dei doveri, dai diversi gradi di capacità che abbiamo a giovarci e a danneggiarci a vicenda.
Su questo soggetto dell’impiego delle utopie come mezzo di ricerca delle connessioni e dipendenze tra i vari caratteri o le varie manifestazioni della vita sociale — come uno strumento cioè per istituire, in certo modo, degli «esperimenti mentali» analoghi a quelli di cui si fa uso sotto altri nomi in qualunque scienza sperimentale — ho creduto opportuno di insistere qui un po’ a lungo perchè mi è parso che il riconoscimento dell’importanza che, anche nel campo degli studi sociali, va attribuita alle «previsioni condizionali», e della funzione che, nella ricerca di queste, spetta alla costruzione ipotetica e ai processi di deduzione su essa basati, costituisse un carattere del volume del Limentani particolarmente interessante e meritevole di essere rilevato e segnalato.
- Roma, 22 giugno 1907.