Rivista di Scienza - Vol. I/La selezione naturale

Heinrich Ernst Ziegler

La selezione naturale ../Les liquides cristallisés ../Principi di Statistica metodologica IncludiIntestazione 27 novembre 2013 100% Scienze

Les liquides cristallisés Principi di Statistica metodologica

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LA SELEZIONE NATURALE.


Il concetto fondamentale della teoria della discendenza è oggi ammesso da tutti gli studiosi, e nessun zoologo o botanico contesta che il mondo degli animali e delle piante abbia subito grandi trasformazioni nel corso delle età geologiche, e che gli organismi più sviluppati abbiano avuto origine dagli esseri vitali inferiori, attraverso una evoluzione graduale; i fatti della paleontologia lo dimostrano, del resto, in modo affatto evidente, per molte classi del regno animale e vegetale.

Coloro soltanto che sono soggetti alla fede dogmatica della chiesa tentano ancora di opporsi a una tale concezione scientifica e continuano a rimanere attaccati al racconto biblico della creazione. Ma nell'ambiente scientifico la teoria della discendenza si è ormai affermata stabilmente, e con essa, per conseguenza, anche la persuasione, che l’uomo stesso non sia stato originato da un unico atto creativo, ma sia uscito dal gruppo di tutti gli altri animali per via d’una evoluzione graduale.

Un accordo simile non esiste invece per quanto concerne la dottrina della selezione naturale; poichè parecchi scienziati attribuiscono alla teoria della selezione il massimo valore, e altri le riconoscono soltanto una importanza minima, o ne contestano persino l’ammissibilità1.

È noto come la dottrina della selezione sia stata introdotta nella scienza da Carlo Darwin, mentre il concetto fondamentale [p. 92 modifica]della teoria della discendenza era stato enunciato già molto prima da diversi studiosi e pensatori, e innanzi tutto dal Lamarck. Darwin rivolse l’attenzione sugli animali domestici e sulle piante coltivate, che dall’uomo manifestamente sono stati a poco a poco cambiati e migliorati, tanto da scostarsi talvolta in modo notevole dalle forme originarie della razza.

Da queste trasformazioni degli animali domestici e delle piante coltivate, Darwin dedusse la variabilità delle specie in generale. Come, per es., per mezzo di una selezione esercitata per secoli dagli allevatori, dal piccione selvatico sono state originate tante e differenti razze, così anche nella natura da una forma originaria unica poterono svilupparsi diverse forme animali.

Darwin dimostrò che anche nella natura ha luogo una specie di selezione, una selezione naturale, sulla quale la lotta per l’esistenza compie l’opera cernitrice, proprio come l’uomo in passato nell’allevamento delle piante coltivate e degli animali domestici scelse ed allevò quelle forme che gli sembrarono più utili o più belle.

Come è noto tutti gli animali si moltiplicano in tale misura, che è impossibile che, coll’andare del tempo, ogni individuo rimanga in vita. Una parte della discendenza di tutti quanti gli animali viene distrutta da nemici, da malattie parassitarie, da condizioni climatiche sfavorevoli, da mancanza di nutrimento o da altre circostanze contrarie. Ogni individuo di una specie animale deve quindi in certo modo sostenere una lotta per la sua esistenza, e secondo la sua costituzione scamperà più facilmente o difficilmente ai diversi pericoli. Per conseguenza, alla lunga possono restare soltanto quegli animali, che sono organizzati in modo adatto alle loro condizioni di vita. Tale è il concetto fondamentale della teoria Darwiniana della lotta per l’esistenza e della selezione naturale.

L’adattamento allo scopo che si manifesta nella costituzione degli animali e delle piante ha così trovato in Darwin una spiegazione naturale, e in ciò consiste precisamente la grande importanza filosofica della dottrina della selezione. Ciò che a noi appare come adatto allo scopo, è quanto è capace, nella lotta per l’esistenza, di esistere e di resistere. Questo adattamento si è prodotto dunque pel fatto che fra le diverse forme animali, si conservava ogni volta soltanto quella [p. 93 modifica]che era meglio conformata rispetto alle effettive condizioni di vita.

Tali diversità poi fra individui meglio o peggio adatti derivano dal fatto, che ogni proprietà, come ogni carattere, di una specie è in certo modo oscillante negli individui, ossia è sviluppato ora un poco più e ora un poco meno. Per quei caratteri che possono venire controllati da misure di lunghezza o di peso, queste oscillazioni si possono rendere manifeste numericamente.

Inoltre, nel corso del tempo, sorgono ancora nuove forme animali o vegetali, così che può esercitarsi da capo e continuamente una distruzione delle forme animali meno adatte, e una conservazione delle più adatte, e quindi aver luogo incessantemente una selezione naturale nel senso accennato più sopra. Per quali cause poi nascano tali forme nuove, è una questione del tutto secondaria; sia che esse siano prodotte da incroci fra parenti vicini, o che alcune specie subiscano una graduale trasformazione per ragioni interne, o per l’influenza delle circostanze esterne (p. e., cambiamenti climatici), o che infine si accetti, d’accordo col botanico olandese Hugo de Vries, l’ipotesi di una formazione improvvisa e saltuaria di nuove specie.

La paleontologia ci mostra, che nel corso della evoluzione geologica alcune classi di animali, molte famiglie e gruppi e innumerevoli specie si sono estinte totalmente, mentre altre classi, da inizi modesti, si sono sviluppate sempre maggiormente e ora possiedono numerosi generi e specie, adatti alle differenti zone climatiche e in genere alle condizioni diverse di vita. Per esempio, gli uccelli discendono da progenitori a forma di rettili, e durante i periodi giurassico e cretaceo si sono suddivisi in gruppi diversi, mentre nel periodo terziario hanno sviluppato un numero estremamente grande di specie, le quali sono adatte alle condizioni di vita più svariate.

Ora che abbiamo imparato a conoscere il concetto fondamentale della teoria darwiniana della selezione, devo ancora intrattenermi sulle obiezioni, che da diverse parti negli ultimi tempi si sono sollevate contro di essa.

A tale proposito faccio assolutamente astrazione da quegli scrittori, i quali intendono considerare la natura da un punto di vista teologico, e che quindi non aspirano in genere a nessuna spiegazione naturale dell’adattamento e della conformità [p. 94 modifica]al fine della costituzione degli animali, ma piuttosto tendono a far derivare tutto ciò da una una teleologia trascendentale o dalla creazione divina.

Ma, contro la teoria della selezione, si sono accampate delle obiezioni anche di natura scientifica, che non si potrebbero trascurare così facilmente2.

Alcuni naturalisti (p. e. il Naegeli) hanno affermato, che il mondo animale e vegetale si trasformano per cause interiori (ossia per motivi sconosciuti), e che la selezione naturale non vi ha nessuna parte. Ma, stando da questo punto di vista, non ci è dato di spiegare la conformità allo scopo della costituzione animale, nè si può capire perchè tanti animali siano così meravigliosamente adatti alle condizioni particolari della loro vita. Per es. rimane senza spiegazione, come dal tronco dei mammiferi si siano potuti sviluppare due ordini di animali nuotanti, i pinnipedi (foche) e i cetacei (delfini e balene), così stupendamente atti al regime di vita acquatico. Parimente resta inspiegabile, come nelle regioni polari ci siano molte specie di mammiferi e di uccelli bianchi, mentre sotto i tropici non se ne trovano quasi mai. Se invece ci si pone dal punto di vista della teoria della selezione, si capisce che tutte le specie animali viventi devono essere adattate fino a un certo punto alle condizioni della loro vita, e che quelle specie la cui costituzione non corrisponde alle condizioni dell’ambiente periscono.

Si comprende allora come, p. e., nelle regioni polari possano vivere soltanto quegli animali, che in inverno assumono il colore bianco e così possono più facilmente sfuggire ai loro nemici, o, se sono animali di rapina, meglio avvicinarsi alla preda. Quanto più una proprietà è utile, tanto più facilmente la si può spiegare con la teoria della selezione.

Se si ammette che le specie varino per cause interne (ossia sconosciute), non bisogna però rinunziare all’azione della selezione. P. es. Hugo de Vries ritiene che le specie si trasformino a salti (per mezzo delle così dette Mutazioni), che cioè si formino ad un tratto per motivi sconosciuti nuove specie, che si discostano in modo notevole dalla forma originaria. [p. 95 modifica]Ma il de Vries si esprime anche chiaramente sul fatto, che le specie nuove non adatte alle condizioni dell’ambiente, vengono alla loro volta distrutte nella lotta per l’esistenza. Egli pure, quindi, si pone dal punto di vista della teoria della selezione.

Come si comprende, si possono considerare da tal punto di vista soltanto quella proprietà che hanno qualche importanza per la conservazione della specie. In ogni organismo ci sono infatti anche dei caratteri che, per l’esistenza, non hanno che una importanza minima. Quindi non si può pretendere dai sostenitori della dottrina selettiva di derivare dal principio della selezione naturale tutte le proprietà di un organismo. Non c’è bisogno di spiegare con questa teoria i colori di un animale che viva sotterra, come p. es. il lombrico, o il numero dei segmenti di un gambero, o il numero delle serie di squame di un pesce.

Anzi in ogni organismo esistono delle conformazioni senza scopo o anche più dannose che utili (come p. es. gli organi rudimentali), le quali possono conservarsi lungamente, se non portano seco un danno sensibile alla conservazione della specie.

Se poi accanto alla selezione naturale ha luogo ancora una selezione sessuale, questa può condurre a delle conformazioni, le quali manifestamente non sono favorevoli al mantenimento della specie. Con la selezione sessuale Darwin spiegò i colori ornamentali degli uccelli maschi, e quelli vivaci sulla faccia superiore delle ali delle farfalle diurne; le corna ramose dei cervi; il corno del narvalo e altri casi. Egli dimostrò che tutti questi caratteri strutturali dell’organismo non sarebbero sorti per l’azione della selezione naturale, essendo in certo modo dannosi alla conservazione della specie.

Siccome non tutte le proprietà degli organismi si possono considerare dal punto di vista della selezione naturale, le opinioni degli scienziati possono discostarsi le une dalle altre nell’attribuire alla selezione stessa un’importanza più o meno grande. Ma in quanto un organismo è costituito conformemente al suo scopo, in quanto la sua costituzione è adatta alle condizioni della vita, dobbiamo cercarne la spiegazione nel principio della selezione.

Certamente, se ci si pone dal punto di vista del Lamarckismo, è possibile spiegare ancora in altro modo la conformità [p. 96 modifica]al loro scopo degli organismi animali. In tutta questa esposizione io mi sono finora posto dal punto di vista del Weismann, il quale, come è noto, rigetta il Lamarckismo; ma debbo ora occuparmi in poche parole anche del Lamarckismo.

La teoria del Lamarck consiste in questo, che le trasformazioni che un organismo subisce sotto l’influenza delle circostanze esteriori, si trasmettono ereditariamente nelle generazioni successive. Se un organo si è rinforzato per l’esercizio, o si è trasformato per l’uso, o ha subito nella sua struttura l’influenza delle condizioni climatiche, tutte queste variazioni si trasmetterebbero per lo meno in parte nella discendenza. Ponendosi da questo punto di vista, diviene superflua in molti casi l’applicazione del principio della selezione. Per esempio, mentre secondo la dottrina della selezione il fitto pelo dei carnivori delle zone artiche si spiega coll’estinguersi di quegli animali, il cui pelo non offriva loro una difesa sufficiente contro il freddo; secondo la dottrina del Lamarck, invece, se ne troverebbe la spiegazione nel fatto che il freddo provoca, in ogni individuo, un maggiore afflusso del sangue alla pelle, e quindi uno sviluppo più energico del pelo, e che questi effetti si trasmettono con l’eredità, sommandosi di generazione in generazione.

Darwin utilizzò la spiegazione del Lamarck insieme alla teoria della selezione, e anche oggi molti partigiani della dottrina della selezione sono nel tempo stesso favorevoli al Lamarckismo, e, a seconda del caso, si servono dell’una o dell’altra spiegazione. Tale concezione deve considerarsi come giustificata, quando si ammetta in genere il principio fondamentale del Lamarckismo, ossia l’ereditarietà delle variazioni prodottesi nella vita individuale sotto l’azione delle circostanze esterne. Su questo ritornerò più avanti.

Ma ci sono anche dei biologi, che ammettono soltanto il Lamarckismo, mentre rigettano interamente la teoria della selezione. Io ritengo ingiustificato questo modo di vedere, poiché il Lamarckismo da solo non basta a spiegare i diversi adattamenti degli organismi. Ne adduco alcuni esempi: molti mammiferi non carnivori possiedono denti molari con smalto rugoso (per esempio i bovini, i cavalli, gli elefanti, i rosicanti, ecc.); ora, per quanto un dente possa essere usato, con l’uso non diventa mai a superfice rugosa. Nè, similmente, può diventare forato o scannellato, con l’uso, il dente del veleno [p. 97 modifica]di un serpente. Neppure può spiegarsi col Lamarckismo, il fatto che dalla glandola salivare di un serpente si sia sviluppata una glandola velenifera. La glandola salivare viene vuotata in ogni caso, nel divorare la preda, sia essa o no velonosa. Non può quindi attribuirsi agli effetti dell’uso, che questa secrezione gradualmente abbia raggiunto un tale alto grado di velenosità. E ben difficilmente ancora si può spiegare col Lamarckismo come presso i vertebrati esistano due specie di corpuscoli del sangue, i bianchi e i rossi, e che questi ultimi, grazie al loro contenuto di emoglobina, siano così straordinariamente adatti al trasporto dell’ossigeno. Tutti gli artropodi (crostacei, miriapodi, aracnidi, insetti) hanno il corpo coperto da uno strato chitinoso, che di genere non viene modificato dall’uso. In questi casi dunque è affatto impossibile una spiegazione Lamarckistica. Chi è fra i rappresentanti del Lamarckismo deve quindi, in ogni modo, almeno per alcuni casi, riconoscere la validità della dottrina della selezione.

Ma bisogna ancora porsi la quistione se si possa considerare il Lamarckismo come una teoria ben fondata. Weismann ha dimostrato come le prove, che ordinariamente si adducevano in favore della ereditarietà delle variazioni acquisite nella vita dell’individuo, non possano resistere a una critica rigorosa.3 Alcuni zoologi (per es. il Plate) additano innanzi tutto l’esistenza degli organi rudimentali come la prova del Lamarckismo; ma io non posso riconoscere questa dimostrazione. Poiché il divenire rudimentale di un organo riposa sempre su una correlazione, ossia è sempre la conseguenza del maggiore sviluppo di uno degli organi vicini, e non di una trasmissibilità ereditaria degli effetti del non uso. Per es. la scomparsa delle gambe posteriori nei delfini e nelle balene è semplicemente la conseguenza secondaria del grande sviluppo della pinna caudale. Il divenire rudimentali dei muscoli dell’orecchio nell’uomo è la conseguenza del grande sviluppo del cervello e della scatola cranica; lo stesso vale anche per la debolezza relativa della dentatura nell’uomo, poiché l’uomo ha usato costantemente la sua dentatura, e il fatto che essa sia ora più debole che negli antropoidi, suoi progenitori, non è certo conseguenza della mancanza di uso. Il regresso dei denti della [p. 98 modifica]balena è conseguenza del grande sviluppo dei fanoni. La scomparsa dei denti canini nei roditori corrisponde al forte sviluppo degli incisivi mediani, e dei molari. Il regresso del mesencefalo nei mammiferi è la conseguenza dell’ingrossamento del cervello.

Io dunque non posso ammettere che gli organi rudimentali offrano una prova della trasmissione ereditaria dell’effetto del mancato uso. Io penso in genere che non c’è affatto alcuna prova del Lamarckismo.4 Se qualcuno vuol prestare fede alla spiegazione Lamarckistica, non glielo si può impedire; ma un naturalista armato di spirito critico deve, secondo me, mantenersi molto scettico di fronte al Lamarckismo.

Respinta la teoria del Lamarck, bisogna attribuire una importanza tanto maggiore a quella della selezione. A questo riguardo è indifferente per quali cause possano venire a prodursi le nuove forme. La direzione delle variazioni è fortuita, ma, intervenendo la selezione, si ha il risultato, che le strutture conformi allo scopo si dimostrano utili alla conservazione della specie, e che si conservano soltanto quelle specie, che sono adatte alle circostanti condizioni di vita.

Io credo pertanto che la dottrina della selezione naturale, nonostante i suoi avversari, conserverà il suo posto nella scienza.

Università di Jena.


Note

  1. Nel mio scritto Sullo stato attuale della dottrina della discendenza nella Zoologia (Jena 1902) ho raccolto i giudizi espressi in proposito da diversi zoologi (pagg. 35-43).
  2. La confutazione migliore e più completa delle obiezioni, dirette contro la teoria della selezione, si trova nel libro di L. Plate: Sulla importanza del principio darwinistico della selezione. Lipsia 1903.
  3. Rimando allo scritto di Weismann: Sulla ereditarietà, Jena 1883, e al suo libro Contributi alla teoria della discendenza. Jena 1905.
  4. Alcuni autori (Plate, O. Hertwig, ecc.) considerano come probatorie dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti alcune esperienze sulle farfalle (compiute dal prof. Fischer a Zurigo). Nel mio scritto La teoria della ereditarietà nella biologia (Jena 1905), ho esposto come a queste esperienze non si possa attribuire un siffatto significato.