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96 | rivista di scienza |
al loro scopo degli organismi animali. In tutta questa esposizione io mi sono finora posto dal punto di vista del Weismann, il quale, come è noto, rigetta il Lamarckismo; ma debbo ora occuparmi in poche parole anche del Lamarckismo.
La teoria del Lamarck consiste in questo, che le trasformazioni che un organismo subisce sotto l’influenza delle circostanze esteriori, si trasmettono ereditariamente nelle generazioni successive. Se un organo si è rinforzato per l’esercizio, o si è trasformato per l’uso, o ha subito nella sua struttura l’influenza delle condizioni climatiche, tutte queste variazioni si trasmetterebbero per lo meno in parte nella discendenza. Ponendosi da questo punto di vista, diviene superflua in molti casi l’applicazione del principio della selezione. Per esempio, mentre secondo la dottrina della selezione il fitto pelo dei carnivori delle zone artiche si spiega coll’estinguersi di quegli animali, il cui pelo non offriva loro una difesa sufficiente contro il freddo; secondo la dottrina del Lamarck, invece, se ne troverebbe la spiegazione nel fatto che il freddo provoca, in ogni individuo, un maggiore afflusso del sangue alla pelle, e quindi uno sviluppo più energico del pelo, e che questi effetti si trasmettono con l’eredità, sommandosi di generazione in generazione.
Darwin utilizzò la spiegazione del Lamarck insieme alla teoria della selezione, e anche oggi molti partigiani della dottrina della selezione sono nel tempo stesso favorevoli al Lamarckismo, e, a seconda del caso, si servono dell’una o dell’altra spiegazione. Tale concezione deve considerarsi come giustificata, quando si ammetta in genere il principio fondamentale del Lamarckismo, ossia l’ereditarietà delle variazioni prodottesi nella vita individuale sotto l’azione delle circostanze esterne. Su questo ritornerò più avanti.
Ma ci sono anche dei biologi, che ammettono soltanto il Lamarckismo, mentre rigettano interamente la teoria della selezione. Io ritengo ingiustificato questo modo di vedere, poiché il Lamarckismo da solo non basta a spiegare i diversi adattamenti degli organismi. Ne adduco alcuni esempi: molti mammiferi non carnivori possiedono denti molari con smalto rugoso (per esempio i bovini, i cavalli, gli elefanti, i rosicanti, ecc.); ora, per quanto un dente possa essere usato, con l’uso non diventa mai a superfice rugosa. Nè, similmente, può diventare forato o scannellato, con l’uso, il dente del veleno