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la selezione naturale 97

di un serpente. Neppure può spiegarsi col Lamarckismo, il fatto che dalla glandola salivare di un serpente si sia sviluppata una glandola velenifera. La glandola salivare viene vuotata in ogni caso, nel divorare la preda, sia essa o no velonosa. Non può quindi attribuirsi agli effetti dell’uso, che questa secrezione gradualmente abbia raggiunto un tale alto grado di velenosità. E ben difficilmente ancora si può spiegare col Lamarckismo come presso i vertebrati esistano due specie di corpuscoli del sangue, i bianchi e i rossi, e che questi ultimi, grazie al loro contenuto di emoglobina, siano così straordinariamente adatti al trasporto dell’ossigeno. Tutti gli artropodi (crostacei, miriapodi, aracnidi, insetti) hanno il corpo coperto da uno strato chitinoso, che di genere non viene modificato dall’uso. In questi casi dunque è affatto impossibile una spiegazione Lamarckistica. Chi è fra i rappresentanti del Lamarckismo deve quindi, in ogni modo, almeno per alcuni casi, riconoscere la validità della dottrina della selezione.

Ma bisogna ancora porsi la quistione se si possa considerare il Lamarckismo come una teoria ben fondata. Weismann ha dimostrato come le prove, che ordinariamente si adducevano in favore della ereditarietà delle variazioni acquisite nella vita dell’individuo, non possano resistere a una critica rigorosa.1 Alcuni zoologi (per es. il Plate) additano innanzi tutto l’esistenza degli organi rudimentali come la prova del Lamarckismo; ma io non posso riconoscere questa dimostrazione. Poiché il divenire rudimentale di un organo riposa sempre su una correlazione, ossia è sempre la conseguenza del maggiore sviluppo di uno degli organi vicini, e non di una trasmissibilità ereditaria degli effetti del non uso. Per es. la scomparsa delle gambe posteriori nei delfini e nelle balene è semplicemente la conseguenza secondaria del grande sviluppo della pinna caudale. Il divenire rudimentali dei muscoli dell’orecchio nell’uomo è la conseguenza del grande sviluppo del cervello e della scatola cranica; lo stesso vale anche per la debolezza relativa della dentatura nell’uomo, poiché l’uomo ha usato costantemente la sua dentatura, e il fatto che essa sia ora più debole che negli antropoidi, suoi progenitori, non è certo conseguenza della mancanza di uso. Il regresso dei denti della

  1. Rimando allo scritto di Weismann: Sulla ereditarietà, Jena 1883, e al suo libro Contributi alla teoria della discendenza. Jena 1905.
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