Rinuccini, il buon nocchiero
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AD OTTAVIO RINUCCINI
Dissuade l’Amore.
Rinuccini, il buon nocchiero,
Che più volte ha tratto il legno
Dal disdegno
Di ria Tetide spumosa,
5Rasserena il suo pensiero,
E del mal sente conforto,
Quando in porto
Con salute ei si riposa;
E la strada perigliosa,
10Che sovente
Lui cangiar fece l’aspetto,
Mostra agli occhi della gente,
Che d’udir prende diletto.
Io, che corsi in gran periglio
15L’Oceän di Citerea,
Mentre ardea
Miei pensier vana bellezza;
Tutto lieto a narrar piglio
Di quei rischi oggi, che l’alma
20Stassi in calma
Dentro il sen della vecchiezza.
Rinuccin, forse vaghezza,
Che hai d’Amore,
Farà gir mie voci al vento;
25Ma pentir non è dolore,
Là ’ve giova il pentimento.
Che fanciul grand’arco tenda,
E di vel fasciato gli occhi,
Indi scocchi
30Ad ognor veneni e strali;
Ch’ei gran face ognora accenda,
E di fuoco empia suo regno,
Non è segno,
Ad udir, salvo di mali:
35Deh! che sperano i mortali
Dalle reti,
Ch’empiamente egli dispiega?
Forse attendono di lieti
Dalle man di chi gli lega?
40Se Saturno ha per costume
Di cangiar, venuto amante,
Suo sembiante,
E formare alti nitriti;
E se Giove or veste piume,
45Or trabocca in pioggia d’oro,
Ora toro
Dell’Egeo trascorre i liti;
E se il Sol fonti fioriti
Dietro a gregge
50Va cercando, e fresche aurette,
Certo invan più nobil legge
In amando Uom si promette.
Manterran forse rinchiuse
Qui l’orecchie i folli amanti,
55Ed i canti
Favolosi avranno a scherno:
Non si schernano le Muse:
Esse dir sotto alcun velo
San del Cielo
60I segreti, e dell’Inferno.
Ma scopriamo il senso interno
De’ miei versi,
S’ei fin qui non si comprese:
Cosa degna di sapersi,
65È dover che sia palese.
Quali amando ingiurie ed onte
Non sofferse, o quali affanni,
O quai danni
Il famoso Antonio in guerra?
70Può di lauro ornar la fronte,
Può gridarsi a grande onore
Vincitore
E del mare e della terra;
Pur così trascorre ed erra,
75Che abbandona
Le sue squadre fuggitivo,
E sul Nilo s’imprigiona
A morir quasi cattivo.
Le corone desïate
80D’Orïente e d’Occidente,
Star possente
In sul giogo di Tarpea:
Al fin vita e libertate,
Non poteo poco, nè molto
85Contro il volto
D’una donna Canopea.
Or lasciam questa si rea
Disventura,
E volgiam nostri vestigi
90A mirarne altra più dura
Sulla riva del Tamigi.
Non fioriva al Mondo esempio
Di valor, d’ogni atto egregio,
D’ogni pregio,
95A dì nostri il buono Enrico?
Qual cagion sanguigno ed empio,
Qual di strazio e di tormento,
Qual d’argento,
Oltre il giusto il fece amico?
100Quando a Roma aspro nemico
Il gran Dio
Ei sprezzò, qual cosa vile,
Tal furor non fu desío
Di vil guancia femminile?
105Lunghe lagrime e querele,
Lunghi all’Asia oltraggi e torti,
Lunghe morti
Apportò l’Argiva Eléna;
Ma destin non men crudele
110Nè men grave a sofferirsi
Fe’ sentirsi
Per l’Europa Anna Bolena.
Quanti Amore, ah tanti appena
Sparge guai
115Odio acceso in alma altera!
Ove è Amor, non corra mai
Altra Aletto, altra Megera.