Rime varie (Alfieri, 1912)/XLI. Alla casa del Petrarca

XLI. Alla casa del Petrarca

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XLI. Alla casa del Petrarca
XL. Lontano dalla sua donna, rivolge a lei il suo pensiero XLII. Al Petrarca, intorno alle sue pene d'amore

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XLI [lviii].1

Alla casa del Petrarca.

O cameretta, che già in te chiudesti2
Quel grande, alla cui fama angusto è il mondo;
Quel sí gentil d’amor mastro profondo,3
4Per cui Laura ebbe in terra onor celesti:
O di pensier soavemente mesti4
Solitario ricovero giocondo;5

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Di quai lagrime amare il petto inondo,
8Nel veder ch’oggi inonorata resti!6
Prezïoso dïaspro,7 agata, ed oro
Foran8 debito fregio, e appena degno
11Di rivestir sí nobile tesoro.
Ma no; tomba fregiar d’uom ch’ebbe regno
Vuolsi, e por gemme ove disdice alloro:
14Qui basta il nome di quel divo ingegno.9


Note

  1. Nel 1766, all’A. capitato in Milano durante il primo scioperatissimo viaggio, il prefetto della Biblioteca ambrosiana diè, perché lo osservasse, un manoscritto autografo del Petrarca, ed egli, «da vero barbaro allobrogo», lo buttò là, dicendo che non gliene importava nulla: «anzi», aggiunge, «in fondo al cuore io ci aveva un certo rancore con codesto Petrarca; perché alcuni anni prima, quando io era filosofo, essendomi capitato un Petrarca alle mani, l’aveva aperto a caso, da capo, da mezzo, e da piedi, e per tutto lettine, o compitati alcuni pochi versi, in nessun luogo aveva mai inteso nulla, né mai raccapezzato il senso» (Aut., III, I°); l’anno dopo, recatosi l’A. a Padova, «non si ricordò (anzi neppur lo sapeva) che poche miglia distante... giacessero le ossa del nostro gran luminare secondo», (Ibidem, III, 4°), né, proseguendo il viaggio, si rammentò che ad Avignone è, o si dice che sia, la tomba della celebre donna (Ib., III, 5°); ma nel ’75, preso dalla smania di studiare, l’Ariosto, Dante, il Petrarca, tutti «s’invasò d’un fiato postillandoli tutti» (Ib., IV, I°) e tanto quest’ultimo poeta finí col piacergli che, anche nei viaggi, ne portava seco un’edizione di piccolo formato (Ib., IV, 4°). Non era dunque possibile che nell’83, quando già aveva elevato nel cuor suo un altare al cantore di Laura e de’ versi di lui si era, per cosí dire, nutrito, e le sue pene d’amore lo traevano verso la poesia petrarchesca a preferenza di qualunque altra, non era possibile che, andando a Venezia, non si recasse in devoto pellegrinaggio ad Arquà e della visita fatta non lasciasse nel suo Canzoniere solenne ricordo. Il presente sonetto è meritamente dei piú celebrati dell’A., ed è anche de’ piú complessi, poiché all’ammirazione del Poeta per il Petrarca si unisce lo sdegno contro gli Italiani incuriosi suorum e il disprezzo per i tiranni, a cui non l’alloro conviene, ma il fasto di splendide tombe. Fu composto il 17 giugno 1783, fra Padova e Arquà.
  2. 1. Il Petrarca (Rime, CCXXXIV):
    O cameretta, che già fosti un porto
    A le gravi tempeste mie diurne...
  3. 3. Notisi il gentile, riferito alla squisitezza de’ sentimenti espressi dal Petrarca, il profondo, relativo, invece, alla straordinaria potenza del Poeta di volgere gli occhi entro i piú misteriosi recessi dell’anima sua. Nell’Aut., parlando di una passioncella avuta nel 1765, l’A. dice di aver allora provati «tutti, ed alcuni piú, quegli effetti sí dottamente e affettuosamente scolpiti dal nostro divino maestro di questa divina passione, il Petrarca» (II, 10°).
  4. 5-6. Ad illustrare questi versi possono per avventura giovare i seguenti del Petrarca (Rime, CXXX):
    Pasco ’l cor di sospir, ch’altro non chiede,
    E di lagrime vivo, a pianger nato:
    Ne di ciò duolmi, perché in tale stato
    È dolce il pianto piú ch’altri non crede.
  5. 6. L’aggettivo giocondo è da riferirsi all’amenità del luogo ove sorge la casa di di F. Petrarca: il Foscolo (Ultime lettere di I. Ortis, 20 nov.) cosí ne scrive: «Eravamo già presso ad Arquà, e scendendo per l’erboso pendio, andavano sfumando e perdendosi all’occhio i paeselli che dianzi si vedeano dispersi per le valli soggette. Ci siamo finalmente trovati a un viale, cinto da un lato di pioppi che tremolando lasciavano cadere sul nostro capo le foglie piú gialline, e adombrato dall’altra parte d’altissime querce che con la loro opacità faceano contrapposto a quell’ameno verde dei pioppi. Tratto tratto le due file d’alberi opposti erano congiunte da varii rami di vite selvatica, i quali incurvandosi formavano altrettanti festoni mollemente agitati dal vento del mattino».
  6. 7-8. Il Foscolo, nella medesima lettera sovraccitata: «La sacra casa di quel sommo Italiano sta crollando per la irreligione di chi possiede un tanto tesoro. Il viaggiatore verrà invano di lontana terra a cercare con meraviglia divota la stanza armoniosa ancora dei canti celesti del Petrarca. Piangerà invece sopra un mucchio di ruine coperto di ortiche e di erbe selvatiche, fra le quali la volpe solitaria avrà fatto il suo covile. Italia! Placa l’ombre de’ tuoi grandi». Della camera del Petrarca, la quale, fortunatamente, per opera del veneto conte Carlo Leoni, non giace piú da tempo nello squallore in cui la videro l’A. e il Foscolo, diè un’ampia descrizione Niccolò Tommaséo nel proemio al commento della Divina Commedia.
  7. 9. Il dïaspro è una pietra silicea di varii colori, non molto pregiata.
  8. 10. Foran, sarebbero.
  9. 9-14. Notisi l’analogia fra il pensiero contenuto in questi versi dell’A. e i seguenti de’ Sepolcri del Foscolo (136 e segg.):
    Ma ove dorma il furor d’inclite geste
    E sien ministri al vivere civile
    L’opulenza e il tremore, inutil pompa
    E inaugurate immagini dell’Orco
    Sorgon cippi e marmorei monumenti.
    Già il dotto, e il ricco ed il patrizio vulgo
    Nelle adulate regge ha sepoltura
    Già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
    Morte conceda riposato albergo....