Rime varie (Alfieri, 1912)/CLXIII. Nulla di nuovo al mondo

CLXIII. Nulla di nuovo al mondo

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CLXIII. Nulla di nuovo al mondo
CLXII. Si vergogna della propria ignoranza CLXIV. Piccoli e grandi dolori

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CLXIII.1

Nulla di nuovo al mondo.

Cose omai viste, e a sazietà riviste,
Sempre vedrai, s’anco mill’anni vivi:
E studia, e ascolta, e pensa, e inventa, e scrivi,
4 Mai non fia ch’oltre l’uom passo ti acquiste.2
Sue cagioni ha Natura, in se frammiste
D’alti Principj d’ogni luce schivi,
E di volgari, a cui veder tu arrivi,
8 Se pazïenza e brama in te persiste.
Ma, a che il saper ciò che imparar pon tutti?3
Che prò il crear, poiché creando imíti?
11 Che prò indagar, se in piú indagar men frutti?4
Muori: ei n’è tempo il dí, che indarno arditi
Gli occhi addentrando nei futuri lutti,
14 Cieco esser senti e d’esserlo t’irríti.5


Note

  1. Il presente sonetto ha nell’Autografo una strana annotazione: «5 decembre. Cominciatolo dormendo, finito passeggiando».
  2. 1-4. Questi versi ricordano le sconsolate parole dell’Ecclesiaste: «Vanità delle vanità..... ogni cosa è vanità.... Quello che è stato è lo stesso che sarà; e quello che è stato fatto è lo stesso che si farà; e non vi è nulla di nuovo sotto il Sole».
  3. 9. Alcune leggi della Natura sono impenetrabili alla mente umana; ad altre ognuno può giungere, se lo desidera, con la pazienza; e allora, che vale imparar quello che tutti possono apprendere?
  4. 11. A che pro indagare, se quanto piú indaghi, minori risultati tu ottieni?
  5. 12-14. Il giorno in cui l’uomo si avvede della vanità di tutti i suoi sforzi, quello è il giorno in cui per esso è meglio morire.