Rime varie (Alfieri, 1912)/CLXII. Si vergogna della propria ignoranza

CLXII. Si vergogna della propria ignoranza

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CLXII. Si vergogna della propria ignoranza
CLXI. Umane chimere CLXIII. Nulla di nuovo al mondo

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CLXII.1

Si vergogna della propria ignoranza.

Tardi or me punge del Saper la brama;
Me, cui finora non pungea ’l rossore
Del Non-saper, mentr’iva, ebro d’errore,
4 Dal coturno2 tentando acquistar fama.
Nulla di quanto l’uom scïenza chiama,
Per gli orecchi mai giunto erami al cuore:
Ira, vendetta, libertade, amore,
8 Suonava io sol, come chi freme ed ama.3

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Tai vampe in me dagli anni or semi-spente,
D’indagar ciò che altrove altri dicea
11 Destan vaghezza entro all’ignuda4 mente:
Ma, sdegnosa, l’altera Attica Dea5
Torva mi guarda, e sgridami repente:
14 «Me conosci, e te stesso; o dormi, o crea».6


Note

  1. «Meglio tardi che mai. Trovandomi dunque in età di anni 46 ben suonati, ed aver bene o male da 20 anni esercitata e professata l’arte di poeta lirico e tragico, e non aver pure mai letto né i tragici greci, né Omero, né Pindaro, né nulla in somma, una certa vergogna mi assalí, e nello stesso tempo anche una lodevole curiosità di vedere un po’ cosa aveano detto quei padri dell’arte». Cosí l’A. nell’Autobiografia all’anno 1795, e allo stesso irresistibile desiderio di apprendere che lo aveva assalito e alle gravi difficoltà che incontrava l’A. nel sodisfarlo, si riferisce il sonetto che ho surriportato e che egli ideò il 24 novembre, mentre passeggiava sulla riva d’Arno, al Pignone.
  2. 4. Dal coturno, dall’opera tragica.
  3. 7-8. Poiché in me parlava solo l’ira, la vendetta, la libertà, l’amore, di ciò solo cantai.
  4. 11. Ignuda, priva di coltura.
  5. 12. La dea della poesia greca, e fors’anche la lingua stessa della Grecia.
  6. 14. «Conosci quanto io sia ardua ad apprendersi, pesa il tuo ingegno e la tua tarda età; e quindi, o cessa da questa inane fatica o continua a crear di tuo genio».