Rime di Argia Sbolenfi/Libro primo/Egloga
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EGLOGA1
melibeo
Titiro, tu che d’un gran faggio all’ombra,
A gambe aperte, stravaccato2 stai,
3Mangiando allegramente una cucombra,3
Un canonico sembri e chi sa mai,
Chi potesse vederti le budelle,
6Bollettario, anche te che sghissa4 avrai!
Io stento invece e queste pecorelle
Sono ormai senza tetto e senza pane
9E campan di polenta e di sardelle.
Hai forse avuto eredità lontane?
Hai rubato una pisside o un ciborio?
12O ti fai mantener dalle sottane?
titiro
Amico Melibeo, questo è notorio
E lo san fino i sassi di Bologna,
15Che tu sei sempre stato un tabalorio;5
Ma non sapevo, e il dico a mia vergogna,
Perchè l’imparo adesso solamente,
18Non sapevo che fossi una carogna.
Qual reo sospetto t’è venuto in mente,
Asino porco, sulla mia condotta?
21Sono un pastore onesto ed innocente!
E se non fossi mio compatriotta
Ed anzi amico mio di Seminario,
24Tu mi faresti venir su la fotta.
Basta; veggo però ch’è necessario
Dirti come domai l’iniqua rana,6
27Essendo un fatto un po’ straordinario.
Tu saprai che quest’altra settimana
Una dolce fanciulla, un puro fiore,
30Che delle poetesse è la sovrana,
Magrolina se vuoi, ma un vero amore,
L’Argia Sbolenfi insomma, e ho detto tutto,
33Sposa ... imagina chi? L’Imperatore!
La nuova si sapeva dappertutto,
Ma io la vidi sol nell’È Permesso,7
36L’unico foglio serio e di costrutto.
Appena letto, allon! mi sono messo
Le braghe dalla festa e il gabbanino
39E son corso da lei come un espresso;
Ma siccome era chiusa in camerino
A far dei versi al suo futuro sposo,
42Fui ricevuto dal signor Pierino8.
Che largo, liberale e generoso,
Mi offerse cordialmente da sedere,
45Ma il caffè no, perchè gli dà il nervoso.
«Ohi, chi vedo!» — «Tersuà» — «Bravo! ho piacere!
Cosa porti? L’agnello?» — «Nossignori» —
48«Peccato, che t’avrei dato da bere!» —
Così ciarlando, ecco l’Argia vien fuori,
La qual, come saprai, ci diedi il latte,
51(Ossia mia moglie) e latte dei migliori.
Era in disabigliè, con le ciabatte,
Una sottana bianca e un zuavino
54Che ci arrivava appena alle culatte.
«Oh!» — lei dice — «Mo bravo Titirino!
Non sai chi sposo? Ah son tanto felice
57Che a momenti mi viene uno smalvino!9
Fra pochi giorni sono Imperatrice!
Sei venuto a veder la tua sovrana?
60Ti farò ricco, e sai chi te lo dice!
A tua moglie ci pago una collana,
E con l’acqua di Felsina all’armento
63Fin da quest’oggi laverai la lana.
Farò indorar le vacche ed il giumento,
Ti selcierò la stalla di brillanti,
66E l’aldamara10 tua sarà d’argento.
Or vanne Titirino, e quei birbanti
Che tempo addietro mi credevan pazza,
69Crepino d’accidenti tutti quanti.
Vanne a Bologna, sta contento e sguazza,
Che in compenso del latte che m’hai dato,
72Io ti farò più ricco di Cavazza!»11
Io dico grazia! vado, e sul mercato
Da un buon amico mio, sessanta lire
75Al sessanta per cento, ho ritrovato;
Ma il primo vaglia che mi fa venire
L’Imperatrice Argia, pago ogni cosa,
78Faccio il porco e mi voglio divertire.
Ecco spiegata la ragione ascosa
Di tutta quanta l’allegrezza mia,
81Viva il Signor Pierin! Viva la sposa!
melibeo
Viva l’Imperator! Viva l’Argia!!!
Note
- ↑ Per errore di troppo eccitabile imaginazione, la Poetessa credette che S.M. l’Imperatore di Germania venisse l’ultima volta a Roma per chiedere al Sommo Pontefice il divorzio dalla Imperatrice e sposar quindi lei. — Vedi le note in fondo al capitolo.
- ↑ Coricato. Recubans sub tegmine fagi. Virg. Dum stravaccatae pegorae marezant. Merl. Coccai Zaniton.
- ↑ Cocomero, anguria. Cucurbita citrullus Linn.
- ↑ Appetito furibondo.
- ↑ Uomo di poco cervello. Captus mentis.
- ↑ Non è la rana esculenta Linn. ma il sinonimo bolognese di miseria. Questo simbolico batracio ricorrerà sovente in queste carte.
- ↑ L’effemeride in cui videro la luce molte di queste rime.
- ↑ L’onorando Signor Pietro Sbolenfi, degno genitore dell’autrice, cui è dedicato il volume.
- ↑ Che Dio ci liberi e scampi tutti! È un accidente.
- ↑ Concimaia.
- ↑ Il Conte Felice Gavazza, banchiere, riputato per uno dei più ricchi bolognesi.