Rime d'amore (Torquato Tasso)/129
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129.
Assomiglia la sua donna a diverse meraviglie.
Qual piú rara e gentile
Opra è de la natura o meraviglia,
Quella piú mi somiglia
La donna mia ne’ modi e ne’ sembianti.
5Dove fra dolci canti
Corre Meandro o pur Caistro inonda
La torta obliqua sponda,
Un bianco augel parer fa roco e vile
Nel piú canoro aprile
10Ogni altro che diletti a meraviglia:
Ma questa mia, che ’l bel candore eccede
De’ cigni, or che se ’n riede
La primavera candida e vermiglia,
L’aria addolcisce co’ soavi accenti
15E queta i venti — col suo vago stile.
Un’animal terreno,
Ch’è bianco sí che vince ogni bianchezza
Ed ogn’altra bellezza,
Morir piú tosto che bruttarsi elegge.
20Però, come si legge,
È preso, e, per vestirne i duci illustri,
Le sue tane palustri
D’atro limo son cinte; e morto almeno
Pregio ha di seno in seno,
25E per donna leggiadra ancor s’apprezza:
Cosí la fera mia, perché s’adorni,
La vergogna e gli scorni
Piú che la morte è di fuggire avvezza;
Né macchia il crudo arcier le care spoglie
30Mentre raccoglie — e sparge il suo veleno.
In Grecia un fonte instilla,
Se labbra asciutte bagna il freddo umore,
Profondo oblio nel core;
L’altra bevuta fa contrari effetti,
35E ’n duo vari soggetti
Sí mirabil virtú dimostra il cielo:
Cosí questa, onde gelo,
Fonte d’ogni piacer chiara e tranquilla
Con una breve stilla
40Tôr la memoria può d’ogni dolore
E render poi d’ogni passata gioia,
Per temprar quella noia
Onde perturba le sue paci Amore.
Oh, vivo fonte, anzi pur fonti vivi
45Con mille rivi — ond’ei via piú sfavilla!
Se non è vana in tutto
L’antica fama che pur dura e suona,
Tra que’ che fan corona
Nasce un bel fior che sembra un lucid’oro
50E vince ogni tesoro,
Perché gloria ei produce e chiaro nome
A chi n’orna le chiome;
Né mai di sponda o di terreno asciutto
Nacque sí nobil frutto.
55Ed un fior di bellezza in queste rive
S’odora, e di mostrar ei nulla è scarso
L’oro disciolto e sparso
Ch’erra soavemente a l’aure estive;
Ma di sua gloria coronato a l’ombra
60Cosí m’adombra — che m’è dolce il tutto.
Ne l’arabico mare
È con un altro fior, come di rosa,
Pianta maravigliosa,
Che lui comprime anzi che nasca il sole;
65Poi dispiegarlo suole
Quando egli vibra in orïente i raggi
Per sí lunghi viaggi;
E di nuovo il raccoglie, allor che pare
Cader ne l’onde amare.
70Tal questa donna, in cui beltà germoglia
E leggiadria fiorisce, al sol nascente
Nel lucido orïente
Par ch’i suoi biondi crini apra e discioglia;
Poi ne l’occaso astringe aurei capelli
75Piú di lui belli, — e sol velata appare.
Una pietra de’ Persi
Co’ raggi d’oro al sol bianca risplende
E quinci il nome prende,
E del bel lume del sovran pianeta
80Rassembra adorna e lieta:
Cosí la pietra mia nel dí riluce,
E la serena luce
E ’l dolce fiammeggiar i’ non soffersi
Quando gli occhi v’apersi.
85Ma segue un’altra poi de la sorella
Il corso vago e di sue belle forme
Par che tutta s’informe
E di sue corna, e quindi ancor s’appella:
Tal lei veggio indurarsi ascosa in parte
90Se torna o parte — fa sentier diversi.
Canzon, ch’io non divegna
Fra tante meraviglie un muto sasso
Solo è cagione Amor, che grazia impetra
Da la mia nobil pietra:
95E spero andarne cosí passo passo,
E pur quasi d’un marmo esce la voce
Che manco nuoce — ov’è chi men disdegna.