Rime (Vittoria Colonna)/Sonetto XCIX

Sonetto XCIX

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Sonetto XCVIII Sonetto C


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SONETTO XCVIII


Spense il dolor la vocé, e poi non ebbe
     Per sì bella cagion lo stile accorto,
     Ma dell' error palese ascosa porto
     La cagion, poscia al cor tanto ne increbbe:
     
E 'l tristo canto, che col tempo crebbe,
     Più noja altrui, ch’a me stessa conforto
     Credo, che porga; ed al vero vien corto,
     Che per lo suo miglior tacer dovrebbe.

Nè giova a me, nè a quel mio lume santo,
     Che al suo valor, ed al tormento è poco;
     Quanto può dir chi più Elicona onora.

Tempo è, ch’ardendo dentro ascoso il foco,
     Mai sempre sì di fuor rasciughi il pianto,
     Che sol d’intorno al cor rinasca e mora .

SONETTO XCIX


Qual Tigre, dietro a cui le invola e toglie
   Il caro pegno (o mia dogliosa sorte!)
   Cors’io seguendo l’empia e dura Morte
   Ricca allor dell’amate e care spoglie.
Ma per colmarmi il cor d’interne doglie,
   Sdegnosa all’entrar mio chiuse le porte,
   Che con far nostre vite manche e corte,
   Non empia le bramose ingorde voglie.
Vuol troncar l’ali ai bei nostri desiri,
   Quand’han preso spedito e largo volo,
   Per gir del cader loro alta e superba.
Uopo non l’è, ch’a numer grande aspiri
   Certa d’averne tutti; elegge solo
   L’ore più dolci per parer più acerba.