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SONETTO XCVIII


S
pense il dolor la voce, e poi non ebbe

     Per sì bella cagion lo stile accorto,
     Ma dell’error palese ascosa porto
     La cagion, poscia al cor tanto ne increbbe:4
E ’l tristo canto, che col tempo crebbe,
     Più noja altrui, ch’a me stessa conforto
     Credo, che porga; ed al vero vien corto,
     Che per lo suo miglior tacer dovrebbe.8
Nè giova a me, nè a quel mio lume santo,
     Che al suo valor, ed al tormento è poco;
     Quanto può dir chi più Elicona onora.11
Tempo è, ch’ardendo dentro ascoso il foco,
     Mai sempre sì di fuor rasciughi il pianto,
     Che sol d’intorno al cor rinasca e mora .14

SONETTO XCIX


Q
ual Tigre, dietro a cui le invola e toglie

     Il caro pegno (o mia dogliosa sorte!)
     Cors’io seguendo l’empia e dura Morte
     Ricca allor dell’amate e care spoglie.4
Ma per colmarmi il cor d’interne doglie,
     Sdegnosa all’entrar mio chiuse le porte,
     Che con far nostre vite manche e corte,
     Non empia le bramose ingorde voglie.8
Vuol troncar l’ali ai bei nostri desiri,
     Quand’han preso spedito e largo volo,
     Per gir del cader loro alta e superba.11
Uopo non l’è, ch’a numer grande aspiri
     Certa d’averne tutti; elegge solo
     L’ore più dolci per parer più acerba.14