Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XXIV

Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
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XXIV

Della signora Veronica Franca

Rimprovero cortese ad uno, che per ira ha offeso una donna, e per poco non l’ha percossa.

     Sovente occorre ch’altri il suo parere
dice, stimando fatte alcune cose,
che non successer, né fúr punto vere.
     4Di queste, che pur son dubbie e nascose,
in noi un certo instinto la natura,
che tende al peggio ed al biasmarle, pose;
     7benché null’opra è di qua giú sicura,
e di quel, che men par ch’avvenir possa,
stiasi con piú sospetto e con paura.
     10Del mondo ingannator quest’è la possa,
che quel, ch’è piú contrario al ver, succeda,
per cagion torta, occoltamente mossa.
     13La ragion vuol ch’ogni ben di voi creda,
ma poi del verisimile l’effetto
fa che quel, ch’io credei prima, discreda.
     16Comunque sia, egli m’è stato detto:
se falso o ver, non importa ch’io dica
s’io son risolta o se n’ho alcun sospetto:
     19basta che mi tegniate per amica,
come infatti vi son, sí che in giovarvi
non sarei scarsa d’opra o di fatica.
     22Ed or ch’io mi conduco a ragionarvi
di quanto intenderete, a quel m’accosto,
che dé* chi fa profession d’amarvi.
     25Dunque a la mia presenza vi fu opposto
ch’una donna innocente abbiate offesa
con lingua acuta e con cor mal disposto;

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     28e che, moltiplicando ne l’offesa,
quant’è colei piú stata paziente,
in voi l’ira si sia tanto piú accesa,
     31sí che, spinto da sdegno, impaziente
le man posto l’avreste adosso ancora,
se noi vietava alcun, ch’era presente;
     34ma voi la minacciaste forte allora,
e giuraste voler tagliarle il viso,
osservando del farlo il tempo e l’ora.
     37Strano mi parve udir, d’un uom diviso
dai fecciosi costumi del vii volgo,
un cotal nuovo inaspettato aviso;
     40e, mentre col pensiero a voi mi volgo,
de la virtute amico e de l’onesto,
la fede a quel, che mi fu detto, tolgo.
     43Da l’altra parte so quanto è molesto
lo spron de l’ira, e come spesso ei mena
a quel ch’è vergognoso ed inonesto:
     46né sempre la ragion, che i sensi affrena,
a stringer pronto in man si trova il morso,
e ’l gran soverchio rompe ogni catena.
     49Se per impeto d’ira il fallo è occorso,
non durate nel mal, ma conoscete
quanto fuor del de ver siate trascorso.
     52Gli occhi del vostro senno rivolgete,
e quanto ingiuriar donne vi sia
disdicevole, voi stesso vedete.
     55Povero sesso, con fortuna ria
sempre prodotto, perch’ognor soggetto
e senza libertá sempre si stia!
     58Né però di noi fu certo il diffetto,
che, se ben come Tuoni non seni forzute,
come l’uom niente avemo ed intelletto.
     61Né in forza corporal sta la virtute,
ma nel vigor de l’alma e de l’ingegno,
da cui tutte le cose son sapute;

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     64e certa son che in ciò loco men degno
non han le donne, ma d’esser maggiori
degli uomini dato hanno piú d’un segno.
     67Ma, se di voi si reputiam minori,
fors’è perché in modestia ed in sapere
di voi siamo piú facili e migliori.
     70E che sia ’l ver, voletelo vedere?
che ’l piú savio ancor sia piú paziente
par ch’a la ragion quadri ed al devere:
     73del pazzo è proprio Tesser insolente,
ma quel sasso del pozzo il savio tragge,
ch’altri a gettarlo fu vano e imprudente.
     76E cosí noi, che siam di voi piú sagge,
per non contender vi portamo in spalla,
com’anco chi ha buon piè porta chi cagge.
     79Ma la copia degli uomini in ciò falla;
e la donna, perché non segua il male,
s’accomoda e sostien d’esser vassalla.
     82Ché, se mostrar volesse quanto vale,
in quanto a la ragion, de l’uom saria
di gran lunga maggiore, e non che eguale.
     85Ma l’umana progenie mancheria,
se la donna, ostinata in sul duello,
foss’a Tuoni, com’ei merta, acerba e ria.
     88Per non guastar il mondo, ch’è si bello
per la specie di noi, la donna tace,
e si sommette a l’uom tiranno e fello,
     91che poi del regnar tanto si compiace,
sí come fanno ’l piú quei che non sanno
(ché ’l mondan peso a chi piú sa piú spiace),
     94che gli uomini perciò grand’onor fanno
a le donne, perché cessero a loro
l’imperio, e sempre a lor serbato l’hanno.
     97Quinci sete, ricami, argento ed oro,
gemme, porpora, e qual è di piú pregio
si pon in adornarne alto tesoro;

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     100e, qual conviensi al nostro senno egregio,
non sol son ricchi i nostri adornamenti
d’ogni pomposo e piú prezzato fregio,
     103ma gli uomini a noi vengon riverenti,
e ne cedono ’l luogo in casa e in strada,
in ciò non punto tardi o negligenti.
     106Per questo anco è ch’a lor portar accada
berretta in testa, per trarla di noi
a qualunque dinanzi ei se ne vada;
     109e, s’ancor son tra lor nimici poi,
non lascian d’onorar, sempre ch’occorre,
ristesse donne de’ nemici suoi.
     112Da questo argomentando si discorre
quanto l’offesa fatta al nostro sesso
la civiltá de l’uoin gentile aborre.
     115Né ch’io parli cosí crediate adesso
con altro fin, che di mostrarvi quanto
l’offender donne sia peccato espresso.
     118Informata ancor son da l’altro canto
chi sia colei, di cui mi fu affermato
che ingiuriaste e minacciaste tanto:
     121certo questo non merita il suo stato,
e l’avervi ’l suo amore a tanti segni
in tante occasion manifestato.
     124Cessili l’offese omai , cessili gli sdegni,
e tanto piú che d’uom nato gentile
questi non sono portamenti degni;
     127ma è profession d’uom basso e vile
pugnar con chi non ha diffesa o schermo,
se non di ciance e d’ingegno sottile.
     130Perdonatemi in ciò, ch’io troppo affermo
le colpe vostre; poi ch’io non intendo
comprender voi, piú d’alcun altro, al fermo;
     133ma quel ch’adesso vado discorrendo
è quanto ad onta sua colui s’inganni,
che vada con le donne contendendo;

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     136perch’al sicur di lui son tutti i danni:
s’ei vince, mal; e peggio, se vien vinto:
il rischio è certo e infiniti gli affanni.
     139Col viso di rossore infuso e tinto,
d’essere stato ogni uom d’onor s’accorge
di far ingiuria a donne unqua in procinto;
     142e, quanto piú ’l valor viril risorge,
tanto piú l’armi fuor da l’ira tratte
vergognando al suo loco altri riporge,
     145e si pentisce de le cose fatte
in via che, se potesse frastornarle,
le ridurria da Tesser primo intatte.
     148Ma, poi che non può adietro ritornarle,
con dolci modi a Toffese ripara,
e, quanto può, si sforza d’annullarle:
     151ritorna ancor l’amata al doppio cara
nel rifar de la pace; e, per turbarsi,
piú d’ogni parte l’alma si rischiara.
     154Cosi nel ben vien a moltiplicarsi,
e cosí certa son che voi farete,
sí come suol da ogni par vostro farsi:
     157e colei certo offesa o non avete,
o, se vinto da sdegno trascorreste,
Terror di voi non degno emenderete.
     160Ed io di ciò vi prego in fin di queste.