Rime (Veronica Franco)/Terze rime/III

Della signora Veronica Franca.

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Della signora Veronica Franca.
Terze rime - II Terze rime - IV

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III

Della signora Veronica Franca

Lontana dall’amante, soffre e piange, e sospira Venezia. Dove appena sará tornata, a lui che l’attende dará, in amorosa lotta, dolce ristoro delle noie passate.

     Questa la tua fedel Franca ti scrive,
dolce, gentil, suo valoroso amante;
la qual, lunge da te, misera vive.
     4Non cosí tosto, oimè, volsi le piante
da la donzella d’Adria, ove ’l mio core
abita, ch’io mutai voglia e sembiante:
     7perduto de la vita ogni vigore,
pallida e lagrimosa ne l’aspetto,
mi fei grave soggiorno di dolore;
     10e, di languir lo spirito costretto,
de lo sparger gravosi afflitti lai,
e del pianger sol trassi alto diletto.
     13Oimè, ch’io’l dico e’l dirò sempre mai,
che ’l viver senza voi m’è crudel morte,
e i piaceri mi son tormenti e guai.
     16Spesso, chiamando il caro nome forte.
Eco, mossa a pietá del mio lamento,
con voci tronche mi rispose e corte;
     19talor fermossi a mezzo corso intento
il sole e ’l cielo, e s’è la terra ancora
piegata al mio si flebile concento;
     22da le loro spelunche uscite fuora,
piansero fin le tigri del mio pianto
e del martir. che m’ancide e m’accora;
     25e Progne e Filomena il tristo canto
accompagnaron de le mie parole,
facendomi tenor di e notte intanto.

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     28Le fresche rose, i gigli e le viole
arse ha M vento de’ caldi miei sospiri,
e impallidir pietoso ho visto il sole;
     31nel mover gli occhi in lagrimosi giri
fermársi i fiumi, e’l mar depose l’ire
per la dolce pietá de’ miei martiri.
     34Oh quante volte le mie pene dire
l’aura e le mobil foglie ad ascoltare
si fermár queste e lasciò quella d’ire!
     37R finalmente non m’avien passare
per luogo, ov’io non veggia apertamente
del mio duol fin le pietre lagrimare.
     40Vivo, se si può dir che quel, eli’assente
da l’anima si trova, viver possa;
vivo, ma in vita misera e dolente:
     43e l’ora piango e’l di, ch’io fui rimossa
da la mia patria e dal mio amato bene,
per cui riduco in cenere quest’ossa.
     46Fortunato ’l mio nido, che ritiene
quello, a cui sempre torno col pensiero,
da cui lunge mi vivo in tante pene!
     49Ben prego il picciol dio, bendato arderò,
che m’ha ferito ’l cor, tolto la vita,
mostrargli quanto amandolo ne péro.
     52Oh quanto maledico la partita,
ch’io feci, oimè, da voi, anima mia,
bench’a la mente ognor mi sète unita.
     55ma poi congiunta con la gelosia,
che, da voi lontan, m’arde a poco a poco
con la gelida sua fiamma atra e ria!
     58Le lagrime, ch’io verso, in parte il foco
spengono; e vivo sol de la speranza
di tosto rivedervi al dolce loco.
     61Subito giunta a la bramata stanza,
m’inchinerò con le ginocchia in terra
al mio Apollo in scienzia ed in sembianza;

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     64e, da lui vinta in amorosa guerra,
seguiròl di timor con alma cassa,
per la via del valor, ond’ei non erra.
     67Quest’è ramante mio, ch’ogni altro passa
in sopportar gli affanni, e in fedeltate
ogni altro piú fedel dietro si lassa.
     70Ben vi ristorerò de le passate
noie, signor, per quanto è ’l poter mio,
giungendo a voi piacer, a me bontate,
     73troncando a me ’l inartir, a voi ’l desio.