Rime (Cavalcanti)/Prefazione

Ercole Rivalta

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Rime I manoscritti delle Rime
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PREFAZIONE




Nell’intraprendere quest’opera di revisione delle rime di Guido Cavalcanti, io ebbi dinanzi, unico scopo, quello di tentar di completare l’opera già a buon porto condotta da gli studi dell’Arnone, dell’Ercole e del Salvadori. Pur mossi il passo fin dalle origini, ricercando e consultando tutti i codici che rime di Guido contenessero, e facendone un nuovo esame e traendone ancor di nuovo lo spoglio delle varianti interamente. Non fu diffidenza dell’altrui lavoro che mi trasse a far questo, ma piuttosto un bisogno tutto mio di sicurezza definitiva, onde non si potessero poi accusare a l’opera mia colpe di errori copiati e riconfermati, quali io potrei accusare a gli editori precedenti. Esposta più largamente la prima parte della discussione critica, ho stimato soverchio ed inopportuno continuare uno sviluppo così esteso per tutto il lavoro, pensando che quella prima parte poteva bastare come saggio e come garanzia del metodo seguito nella ricostruzione di tutte le rime. Non lasciai parte a la ricostruzione congetturale se non nel trattare il testo della canzone filosofica su la natura d’amore, perchè, [p. xii modifica]essendo il testo difficile ed astruso, ogni codice, per quanto sia poco inquinato, rappresenta sempre lievi modificazioni od errori, che facilmente si formavano là, dove la difficoltà dell’interpretare traeva il menante a trascrizioni non ragionate. Anche qui però in piccolissima parte: preferendo, ove la modificazione sarebbe stata troppo arbitraria, l’errore ad una correzione senza base di probabilità. Necessariamente, essendo di fronte ad un numero larghissimo di manoscritti, il lavoro di raffronto non potè essere così minuzioso come se si avesse avuto a trattarne una piccola schiera: non minuzioso anche volontariamente, che, il numero largo dei codici attestando un lungo lavorìo di copisti e di eruditi su le rime di Guido, si verrebbe con un soverchio uso di rapporti scrupolosi a conclusioni probabilmente eccessive. Si veggono infatti alcuni codici, che per la struttura fondamentale differiscono assolutamente, unirsi in alcune varianti tanto speciali da condurre facilmente a raggruppamenti smentiti poi da ragioni più profonde.

Il mio lavoro deve essere inteso nel senso di un [p. xiii modifica]completamento a le opere precedenti; per ciò evitai di ripetere tutto quello che di impeccabile era nelle edizioni critiche già fatte publiche; e mi fu massima guida a la precisione coscienziosa il pensiero che una edizione critica deve essere estranea totalmente dal rivelare le maggiori e minori qualità di intelletto e di erudizione dell’editore, deve essere opera obbiettiva assolutamente, non avendo di mira che la purezza massima ed il massimo rispetto dell’opera gloriosa, affidata alle nostre mani. Un mal vezzo della critica odierna è quello di infarcire di una facile erudizione molte opere, che pèrdono in tal modo d’ogni severità e rapidità e si movono gravi e sonnolente sotto il peso di tanto orpello: la precisione viene scambiata con la sovrabbondanza, la quale presta a l’autore il mezzo di abbagliare gli occhi altrui con una luce ininterrotta di ostentata sapienza. Un grande amore mi trasse a l’opera mia e, cosciente della sua gravità, io tentai d’avere l’intelletto sgombro da ogni piccola vanagloria e da ogni falsa ambizione speciosa.

Non so s’io abbia raggiunto il mio scopo, ch’era di [p. xiv modifica]far risplendere in tutta la sua purezza l’opera artistica dell’amico primo di Dante, lieto se il mio nome non figurasse nell’opera, che come quello di un servo fedele, che umilmente raccoglie le cose preziose di un maestro: se non raggiunsi la mèta fu colpa di natura e non di volontà.

Ringrazio qui caldamente tutti gli amici, che mi aiutarono nell’opera mia, con ricerche parziali là, dove il dubbio delle mie prime ricerche mi toglieva la piena sicurezza dei miei passi, ricollazionando per me alcune parti di qualche codice; così ringrazio i miei carissimi prof. Mario Grandi, che rivide per me il Martelliano e Silvio Chitarin, che mi ripetè lo spoglio del ms. della Universitaria di Bologna 2618, quando le occupazioni professionali mi tennero lontano da ogni centro di coltura e di scienza.


Lovere, 27 Giugno 1900.

E. Rivalta.