Rime (Andreini)/In morte di Damone
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IN MORTE DI DAMONE.
Del grave duol de la tua morte acerba,
Securo può del Mauritano Atlante
Lo ’ncarco sostener di tante stelle.
Forman questi occhi un pelago di pianto
Pensando (ohime) che più veder non ponno
Damon terror de’ Lupi, honor de’ boschi.
Deh sì mi fosse il bel Castalio amico,
Ch’io potessi ne’ tronchi, e ne le foglie
Con le sue lodi i miei martìri atroci
Andar segnando in questa parte, e ’n quella;
Forse, che non saria sì alpestre core,
Che non donasse a’ miei dolenti versi
Una pietosa lagrimetta, ò almeno
Un sospir breve, od un’amico à Dio.
Mà se non lece à me volger la penna
A tanta gloria; voi pudiche Suore
Habitatrici de le nobil’onde
Del famoso Hippocrene à Febo grato;
Voi sole per li sassi, e per li tronchi
Incidete Damon, ch’à sì gran nome
E tuoni, e lampi, e folgori, e tempeste
Lunge staranno. ò Dive hoggi non niega
Il Cielo à voi degna materia, ed alta.
Date principio al lagrimoso carme.
E mentre al vostro dir Echo infelice
Ripiglierà Damone, onde Damone
Risuonerà la Valle; io col mio pianto
Bagnerò quell’amata, e gelid’urna,
Che ’l cener freddo asconde, sì che i marmi
Inteneriti, e per pietade aperti
Non mi saran de la sua vista avari;
E forse il Ciel mosso per tante, e tante
Pene farà, che lagrimando io spenga
Quelle fiamme, che spiran le fredd’ossa
Accendendo d’amor gli stessi marmi.
Ahi pur è ver, che non sì ratta corre
A gran soffiar de’ più rabbiosi venti
Nube, nè per lo Mar concavo Pino
A piene vele sì veloce fugge;
Nè con prestezza tale impetuoso
Torrente unquà sparìo, nè giamai Serpe
Strisciò ratto così trà l’herbe, e i fiori
Come tosto sparisti ò buon Damone.
Almen sì come cresce il duolo interno
Crescessse ancor di queste luci il pianto.
Ma (lassa) ch’io tant’hò versato humore,
Che solo il sangue con lo spirto infermo
Da versar mi riman per gli occhi fuore.
Ecco s’apre la Terra, e si riveste
Di fior, d’herbe, e di frondi. ecco à la Vite
Impor sue leggi il Villanello industre,
Eccolo d’aurea messe alhor, che vibra
Ne la calda stagion suo’ raggi il Sole
Lieto raccoglitor col ferro adunco;
Onde le tante sue fatiche acqueta.
Ecco la Vite del suo parto grave
Già fatta, ond’egli l’Asinello carca;
E mentre il dolce, e nutritivo succo
Preme da l’uve, il rubicondo Bacco,
L’ebbro Sileno, i Semicapri Numi,
E i Silvani lascivi allegri stanno
Ridendo intorno a’ fortunati vasi,
Che ’l soàve liquor tengono in seno;
Ed ecco è da le nevi, e da le brine
Già vinto il Sole; onde ’l Bifolco riede
Da’ venti spinto al suo Tugurio humile.
Quivi securo posa ardendo il bosco,
Onde ne tempra il verno. Così vanno
Ne le forze del Tempo ad una, ad una
Le fugaci stagioni; & io dolente
I miei noiosi affanni nel suo grembo
Giamai non poso. dunque afflitta, e mesta
Sarò non meno alhor, che Filomena
Torna piangendo, e le Campagne, e i Prati
Ridon; ma quando ancor le Valli assorda
La noiosa Cicala; e quando i rami
Pendono carchi à terra; e quando stanco
Il vigile Arator depon l’aratro.
O Damon prendi in grado i miei sospiri,
E prega il Ciel, che mentre in questa Valle
Di miserie vivrò, l’amaro pianto
Non m’abbandoni, acciò che s’io non posso
D’altro honorarti, almen t’honori (ahi lassa)
Distillando per gli occhi il cor dolente.