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Ridendo intorno a’ fortunati vasi,
Che ’l soàve liquor tengono in seno;
Ed ecco è da le nevi, e da le brine
Già vinto il Sole; onde ’l Bifolco riede
Da’ venti spinto al suo Tugurio humile.
Quivi securo posa ardendo il bosco,
Onde ne tempra il verno. Così vanno
Ne le forze del Tempo ad una, ad una
Le fugaci stagioni; & io dolente
I miei noiosi affanni nel suo grembo
Giamai non poso. dunque afflitta, e mesta
Sarò non meno alhor, che Filomena
Torna piangendo, e le Campagne, e i Prati
Ridon; ma quando ancor le Valli assorda
La noiosa Cicala; e quando i rami
Pendono carchi à terra; e quando stanco
Il vigile Arator depon l’aratro.
O Damon prendi in grado i miei sospiri,
E prega il Ciel, che mentre in questa Valle
Di miserie vivrò, l’amaro pianto
Non m’abbandoni, acciò che s’io non posso
D’altro honorarti, almen t’honori (ahi lassa)
Distillando per gli occhi il cor dolente.
HIELLE PIANGE LA MADRE.
S’eran gli Augei notturni;
E già svegliata uscìa la Rondinella
A’ bei raggi diurni;
Quando più ch’altra bella
Hielle sorgendo, la vermiglia Aurora
Vide, che violette, e rose, e gigli
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