Pagina:Rime (Andreini).djvu/229


217

     Ridendo intorno a’ fortunati vasi,
     Che ’l soàve liquor tengono in seno;
     Ed ecco è da le nevi, e da le brine
     Già vinto il Sole; onde ’l Bifolco riede
     Da’ venti spinto al suo Tugurio humile.
     Quivi securo posa ardendo il bosco,
     Onde ne tempra il verno. Così vanno
     Ne le forze del Tempo ad una, ad una
     Le fugaci stagioni; & io dolente
     I miei noiosi affanni nel suo grembo
     Giamai non poso. dunque afflitta, e mesta
     Sarò non meno alhor, che Filomena
     Torna piangendo, e le Campagne, e i Prati
     Ridon; ma quando ancor le Valli assorda
     La noiosa Cicala; e quando i rami
     Pendono carchi à terra; e quando stanco
     Il vigile Arator depon l’aratro.
     O Damon prendi in grado i miei sospiri,
     E prega il Ciel, che mentre in questa Valle
     Di miserie vivrò, l’amaro pianto
     Non m’abbandoni, acciò che s’io non posso
     D’altro honorarti, almen t’honori (ahi lassa)
     Distillando per gli occhi il cor dolente.


HIELLE PIANGE LA MADRE.


F
Uggendo il lume à le spelonche tratti

S’eran gli Augei notturni;
     E già svegliata uscìa la Rondinella
     A’ bei raggi diurni;
     Quando più ch’altra bella
     Hielle sorgendo, la vermiglia Aurora
     Vide, che violette, e rose, e gigli


Da