Rime (Andreini)/Capitolo III
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Cap. III. con ogni terzo verso del Petrarca.
Fatt’hà de l’arco suo segno il mio core,
Ma tutti i colpi suoi commette al vento.
Invan procuri ingiusto empio signore
L’alma tener con tue lusinghe avvolta
Frà le vane speranze, e ’l van dolore.
Io ben dolce credèi l’amar talvolta,
Ma poi che sciolto ho da quest’occhi il velo
La falsa opinion dal cor s’è tolta.
Chiunque avampa d’amoroso zelo
Speri anzi di veder, che uscir di pena
Senz’acqua il Mare, e senza stelle il Cielo.
Annoda l’alma Amor d’aspra catena,
E soffian sempre, ove l’iniquo stassi
Venti contrari a la vita serena.
Per lo sentier d’Amore à morte vassi.
Miseri Amanti egli v’asconde il calle
Di gir al Ciel con gloriosi passi.
In questa bassa, e tenebrosa valle
Vi nutre di piacer vano, e fallace
Per farvi al bel desìo volger le spalle.
Il senso inganna, il cor ardendo sface,
Tal è sua usanza dispietata, e dura
Nemica naturàlmente di pace.
Riposo, e libertà vi toglie, e fura,
E vi costringe à trar da gli occhi un rìo
Quand’è ’l dì chiaro, e quand’è notte oscura.
Spegnete la sua face ne l’oblìo,
Ch’egli vi pasce, e no’l vedete (ahi folli)
Di sospir, di speranza, e di desìo.
Mentr’io pur come voi seguirlo volli
Vissi morendo in una viva morte
Con gli occhi di dolor bagnati, e molli.
Quante volte n’andai gridando forte
Di piaggia in piaggia, e d’una in altra riva
O bel viso à me dato in dura sorte.
Ahi che mentre d’amor l’alma bolliva
Soffersi inutilmente tant’affanno,
Che ’ngegno, ò stil non fia mai, che ’l descriva.
Chi vive amando soffre ingiuria, e danno,
E quando il Monte vien canuto, e bianco,
E quando poi ringiovenisce l’anno.
Talche si trova al fin debile, e stanco
D’angosce, e di martìri in tutto pieno
Col ferro avelenato dentro al fianco.
Hor di vera letizia hò colmo il seno,
Poi c’hò lasciato di seguir l’altero,
C’hà sì caldi gli spron, sì duro il freno.
Conosco hor ben, ch’io non conobbi il vero
Mentre seguendo questo falso Nume
Sperai riposo al suo giogo aspro, e fiero.
Pensoso un giorno in riva a un chiaro fiume
Una voce sgridommi in questi accenti,
Deh perche innanzi tempo ti consume?
A quel parlar tremai qual fronda à’ venti:
Pur fatto forza à l’improviso suono
I’ dicea frà mio cor, perche paventi?
Poi dissi, ò voce con la qual ragiono,
Se guardi à la cagion del mio fallire
Spero trovar pietà non che perdono.
Nacque già tal, ch’io no’l saprei ridire
Donna, il cui bel fù d’ogni grazia adorno
Per colmarmi di doglia, e di desire.
A questa ogn’hor con la memoria torno,
E per lei mi consumo à parte, à parte,
Così mancando vò di giorno in giorno.
Ma tu chi se’, che ’n sì remota parte
Mi conforti à lasciar l’impresa antica,
Ond’hor non sò d’uscir la via, ne l’arte?
Rispose, io son Ragion del giusto amica
Sappi, che quanto più l’huom serve, e brama
Tanto Fortuna con più visco intrica.
Segui l’alto Signor, ch’à se ti chiama.
Son di lui messaggiera, e vò mostrarti
Come s’acquista honor, come Dio s’ama.
Visto, che pur volevi consumarti
Dietro à spietata, e fragile bellezza
Mi mossi, e vengo sol per consolarti.
Vuoi seguir chi ti fugge, e chi ti sprezza?
Ah ben m’avveggio, che se’ fatto, come
Semplicetta farfalla al lume avezza.
Hor prima, che tu cangi e volto, e chiome
Segui ti prego il mio sano consiglio,
Sgombra da te queste dannose some.
Soggiunsi, amica al tuo parer m’appiglio,
Voglio fuggir la dispietata luce,
Ch’Amor mostrommi sotto quel bel ciglio.
Un raggio di salute in me riluce,
Sì mi conceda chi diè lume al Sole,
Ch’io segua la mia fida, e cara Duce.
Tal forza hebbero in me l’alte parole
D’essa Ragione, che ’mpugnai lo scudo
Contr’al desìo, che spesso il suo mal vuole.
Hor da te fuggo Arciero alato, e nudo,
Ed hò contro di te sì grave sdegno,
Ch’animo al Mondo non fù mai sì crudo.
Mentre servendo vissi nel tuo Regno
Spietato al pianto mio torcesti gli occhi,
Hor al tuo richiamar venir non degno,
Indarno tendi l’arco, à voto scocchi.