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Chi vive amando soffre ingiuria, e danno,
     E quando il Monte vien canuto, e bianco,
     E quando poi ringiovenisce l’anno.
Talche si trova al fin debile, e stanco
     D’angosce, e di martìri in tutto pieno
     Col ferro avelenato dentro al fianco.
Hor di vera letizia hò colmo il seno,
     Poi c’hò lasciato di seguir l’altero,
     C’hà sì caldi gli spron, sì duro il freno.
Conosco hor ben, ch’io non conobbi il vero
     Mentre seguendo questo falso Nume
     Sperai riposo al suo giogo aspro, e fiero.
Pensoso un giorno in riva a un chiaro fiume
     Una voce sgridommi in questi accenti,
     Deh perche innanzi tempo ti consume?
A quel parlar tremai qual fronda à’ venti:
     Pur fatto forza à l’improviso suono
     I’ dicea frà mio cor, perche paventi?
Poi dissi, ò voce con la qual ragiono,
     Se guardi à la cagion del mio fallire
     Spero trovar pietà non che perdono.
Nacque già tal, ch’io no’l saprei ridire
     Donna, il cui bel fù d’ogni grazia adorno
     Per colmarmi di doglia, e di desire.
A questa ogn’hor con la memoria torno,
     E per lei mi consumo à parte, à parte,
     Così mancando vò di giorno in giorno.
Ma tu chi se’, che ’n sì remota parte
     Mi conforti à lasciar l’impresa antica,
     Ond’hor non sò d’uscir la via, ne l’arte?
Rispose, io son Ragion del giusto amica
     Sappi, che quanto più l’huom serve, e brama
     Tanto Fortuna con più visco intrica.


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