Rime (Andreini)/Canzonetta morale XI
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Biasma l’avarizia.
Canzonetta Morale XI.
Che le spalle volgendo al patrio Clima
La prima Nave, anzi la tomba prima
De’ vivi al salso osò fidar viaggio.
Alhor chi de le Pleiadi, ò de l’Orse
La forza discernèa? chi l’altre stelle
Di calma apportatrici, ò di procelle
Per l’ondoso Oceàn vagando scorse?
Chi d’Euro, d’Aquilon, d’Austro, ò di Coro
Temea? quando non ch’altro il nome ascoso
Era, onde nulla il fiero, e minaccioso
Fiato curò la bella età de l’oro.
Alhor quelle felici, e liete genti
Ricche in lor povertà godèan secure
Le ghiande, e i pomi, e l’acque fresche, e pure
Non curando d’esporsi à l’onde à i venti,
Ma Tifi pien di temerario ardire
Ruppe oltraggioso il Mar con fragil barca
Sempre infedel d’avara gente carca
Cui de l’oro spronò cieco desire.
Il Mondo, che diviso era, la Nave,
Che prima oppresse il Mar insieme unìo,
Ogni rischio mortal posto in oblìo
Per haver de’ suoi danni il ventre grave.
Diè nova cura à’ dispiegati lini
In varie guise raccogliendo il vento;
E ’l guardo tenne, e ’l lieve corso intento
A gli altrui remotissimi confini.
Ma s’ella osò dar legge al vasto seno
De l’Oceàno, ei di giust’ira acceso
Contra ’l nemico insolito suo peso
Tutto allargò delle procelle il freno;
Siche talhor parèa fosser portate
Le genti d’Argo a l’atre nubi in grembo,
Ed hor sospinte da piovoso nembo
Tra gli spirti d’averno innabbissate,
Muto divenne Orfèo, tacque sua lira
Famosa tanto, ogni guerrier più forte
Timor conobbe, e sospirò tal sorte,
E del vento, e del mar l’orgoglio, e l’ira.
Quasi esca fur de la rabbiosa fame
Di Scilla, e quasi infrà deserte arene
Hebber di rapacissime Sirene
Miseri a disfogar le ’ngorde brame.
Tanto avarizia può, di cui nel Mondo
Non hà fera peggior, che non hà pace
Fin ch’altrui l’ossa non divora, e sface
L’alma trahendo nel tartareo fondo.
Qual error non commette avara voglia?
Qual fraude empia non tesse? e qual periglio
Non corre? il dica l’avido consiglio
Di quei, che d’un Monton trasser la spoglia.
Ma ben securo è dal furor di questa
Peste infernal chiunque erge il pensiero
Qual tù Sertini al degno alto sentiero,
Ch’eterna gloria à chi lo segna appresta.
Teco s’acquisti i non caduchi honori
Di Pindo; e saggio à sì bell’opra sudi,
Poiche sol di virtù gli egregi studi
Son di spirto gentil ricchi tesori.