Ed hor sospinte da piovoso nembo
Tra gli spirti d’averno innabbissate,
Muto divenne Orfèo, tacque sua lira
Famosa tanto, ogni guerrier più forte
Timor conobbe, e sospirò tal sorte,
E del vento, e del mar l’orgoglio, e l’ira.
Quasi esca fur de la rabbiosa fame
Di Scilla, e quasi infrà deserte arene
Hebber di rapacissime Sirene
Miseri a disfogar le ’ngorde brame.
Tanto avarizia può, di cui nel Mondo
Non hà fera peggior, che non hà pace
Fin ch’altrui l’ossa non divora, e sface
L’alma trahendo nel tartareo fondo.
Qual error non commette avara voglia?
Qual fraude empia non tesse? e qual periglio
Non corre? il dica l’avido consiglio
Di quei, che d’un Monton trasser la spoglia.
Ma ben securo è dal furor di questa
Peste infernal chiunque erge il pensiero
Qual tù Sertini al degno alto sentiero,
Ch’eterna gloria à chi lo segna appresta.
Teco s’acquisti i non caduchi honori
Di Pindo; e saggio à sì bell’opra sudi,
Poiche sol di virtù gli egregi studi
Son di spirto gentil ricchi tesori.