Rime (Andreini)/Canzonetta morale VI

Canzonetta morale VI

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Sonetto LXXXII Madrigale XXXVIII

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Loda la vita Pastorale.

Canzonetta Morale VI.


L
A Notte à sè tutte richiama l’ombre,

E i fochi vaghi; hor, che ’l diurno raggio
     Spunta colmo di luce a farle oltraggio;
     Onde convien, ch’ella veloce sgombre.
Langue l’ultima Stella, e ’l primo lume
     Sorge dal Gange, e lvamator del giorno
     Terreno augel desta per l’aere ’ntorno
     Quei, che spiegan cantando al Sol le piume.
Apre il Pastor l’albergo, ond’esce fuori
     Il Gregge, che se n’ và lieto bevendo
     La matutina pioggia, indi pascendo
     L’herbette invola al prato i suoi tesori.
Esce il Torel con elevata fronte
     Indomito, e ’l rival mugghiando à pugna
     Sfida, e l’aer col corno, el suol con l’ugna.
     Fiede, e superbo scorre il piano, e ’l monte.

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Riempie il voto sen la pecorella,
     Indi ’l sugge l’Agnel, che lascivetto
     E fugge, e bela, e scherza, e con diletto
     Hor sì corca trà i fiori, ed hor saltella.
Questi inganna gli augei trà verdi rami,
     Quegli i Veltri sospinge à la foresta
     Fere seguendo, altri le reti appresta,
     Onde al Mar furi i pesci, e getta gli hami.
Huom prudente così l’invida Corte
     Fuggir può, sciolto da litigi, e sdegni
     E di Teti abborrir gli ondosi Regni
     Trà i confin de la vita, e de la morte;
Che folle è ben chi ’l Pino errante crede
     A l’irato Nettuno, perch’ei rieda
     Salvo talhor; gioco è de’ venti, e preda
     Del Mar al fin, ch’unquà non serba fede.
Tromba improvisa à lui non turba il sonno,
     Nè ’l capo aggrava d’elmo, ò cinge spada.
     Da le piume à la tomba ardito vada
     (Dice ei) chi de l’altrui vuol farsi donno.
Nè conosce altri ferri, che le falci,
     Ond’à i prati, ond’à Cerere la chioma
     Taglia non crudo, e quelli, ond’egli doma
     Le piante, ò tronca de le viti i tralci.
Fende à la propria terra il duro volto
     Co’ propri buoi; di Bacco in vece ei beve
     Limpido rivo, e nel suo viver breve
     Del poco ei gode, e non agogna il molto.
Che termine è ’l suo campo al suo desiro,
     E si dona al cantar de gli augelletti,
     Od al tremulo suon de i ruscelletti,
     Quando ’l preme talhor lieve martiro.

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Si gode gli anni, che non tornan mai,
     E sua fortuna humil nel basso albergo:
     Lascia ’l timor di Giove irato à tergo,
     Che sol gran moli folgorar vedrai.
Saggio Pinelli è lieto viver questo.
     Gioioso il giorno, e più quando Boote
     Volge il timon da le stellanti rote,
     Che solo al novo Sol dal sonno è desto.
O non men fortunata, che contenta
     Vita, che l’aurea etate a noi rimena,
     Che vana ambizion non punge, ò frena,
     Che nulla il Mondo rìo cura, ò paventa.