Rime (Andreini)/Canzonetta morale VI
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Loda la vita Pastorale.
Canzonetta Morale VI.
E i fochi vaghi; hor, che ’l diurno raggio
Spunta colmo di luce a farle oltraggio;
Onde convien, ch’ella veloce sgombre.
Langue l’ultima Stella, e ’l primo lume
Sorge dal Gange, e lvamator del giorno
Terreno augel desta per l’aere ’ntorno
Quei, che spiegan cantando al Sol le piume.
Apre il Pastor l’albergo, ond’esce fuori
Il Gregge, che se n’ và lieto bevendo
La matutina pioggia, indi pascendo
L’herbette invola al prato i suoi tesori.
Esce il Torel con elevata fronte
Indomito, e ’l rival mugghiando à pugna
Sfida, e l’aer col corno, el suol con l’ugna.
Fiede, e superbo scorre il piano, e ’l monte.
Riempie il voto sen la pecorella,
Indi ’l sugge l’Agnel, che lascivetto
E fugge, e bela, e scherza, e con diletto
Hor sì corca trà i fiori, ed hor saltella.
Questi inganna gli augei trà verdi rami,
Quegli i Veltri sospinge à la foresta
Fere seguendo, altri le reti appresta,
Onde al Mar furi i pesci, e getta gli hami.
Huom prudente così l’invida Corte
Fuggir può, sciolto da litigi, e sdegni
E di Teti abborrir gli ondosi Regni
Trà i confin de la vita, e de la morte;
Che folle è ben chi ’l Pino errante crede
A l’irato Nettuno, perch’ei rieda
Salvo talhor; gioco è de’ venti, e preda
Del Mar al fin, ch’unquà non serba fede.
Tromba improvisa à lui non turba il sonno,
Nè ’l capo aggrava d’elmo, ò cinge spada.
Da le piume à la tomba ardito vada
(Dice ei) chi de l’altrui vuol farsi donno.
Nè conosce altri ferri, che le falci,
Ond’à i prati, ond’à Cerere la chioma
Taglia non crudo, e quelli, ond’egli doma
Le piante, ò tronca de le viti i tralci.
Fende à la propria terra il duro volto
Co’ propri buoi; di Bacco in vece ei beve
Limpido rivo, e nel suo viver breve
Del poco ei gode, e non agogna il molto.
Che termine è ’l suo campo al suo desiro,
E si dona al cantar de gli augelletti,
Od al tremulo suon de i ruscelletti,
Quando ’l preme talhor lieve martiro.
Si gode gli anni, che non tornan mai,
E sua fortuna humil nel basso albergo:
Lascia ’l timor di Giove irato à tergo,
Che sol gran moli folgorar vedrai.
Saggio Pinelli è lieto viver questo.
Gioioso il giorno, e più quando Boote
Volge il timon da le stellanti rote,
Che solo al novo Sol dal sonno è desto.
O non men fortunata, che contenta
Vita, che l’aurea etate a noi rimena,
Che vana ambizion non punge, ò frena,
Che nulla il Mondo rìo cura, ò paventa.