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Riempie il voto sen la pecorella,
     Indi ’l sugge l’Agnel, che lascivetto
     E fugge, e bela, e scherza, e con diletto
     Hor sì corca trà i fiori, ed hor saltella.
Questi inganna gli augei trà verdi rami,
     Quegli i Veltri sospinge à la foresta
     Fere seguendo, altri le reti appresta,
     Onde al Mar furi i pesci, e getta gli hami.
Huom prudente così l’invida Corte
     Fuggir può, sciolto da litigi, e sdegni
     E di Teti abborrir gli ondosi Regni
     Trà i confin de la vita, e de la morte;
Che folle è ben chi ’l Pino errante crede
     A l’irato Nettuno, perch’ei rieda
     Salvo talhor; gioco è de’ venti, e preda
     Del Mar al fin, ch’unquà non serba fede.
Tromba improvisa à lui non turba il sonno,
     Nè ’l capo aggrava d’elmo, ò cinge spada.
     Da le piume à la tomba ardito vada
     (Dice ei) chi de l’altrui vuol farsi donno.
Nè conosce altri ferri, che le falci,
     Ond’à i prati, ond’à Cerere la chioma
     Taglia non crudo, e quelli, ond’egli doma
     Le piante, ò tronca de le viti i tralci.
Fende à la propria terra il duro volto
     Co’ propri buoi; di Bacco in vece ei beve
     Limpido rivo, e nel suo viver breve
     Del poco ei gode, e non agogna il molto.
Che termine è ’l suo campo al suo desiro,
     E si dona al cantar de gli augelletti,
     Od al tremulo suon de i ruscelletti,
     Quando ’l preme talhor lieve martiro.


si