Rime (Andreini)/Canzonetta morale I

Canzonetta morale I

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Sonetto XXII Scherzo I

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Nessuna cosa esser più durabile della Virtù.

Canzonetta Morale I.


V
Ago di posseder l’indico argento,

O le gemme di Tiro, al salso Regno
     Fida ingordo Nocchiero augel di legno,
     E fà, ch’ei l’ali spieghi ardito al vento.
Quand’ecco fremon l’onde, e Borea scorre
     L’aer fosco; guerreggia ed Euro, e Noto;
     Onde pieno di tema, e d’ardir voto
     Egli, e sua vana speme à morte corre.
Fatto ricco la sete empia consola
     Con l’oro quei, c’hà d’adorarlo in uso;
     Ma da l’Erario in mille parti chiuso
     Rapacissimo fulmine l’invola.

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Quegli superbo tetto erger procura
     Fastoso al Ciel; ma fiero il gran Tridente
     Scuote Nettuno, onde veggiam repente
     Tremando il suol precipitar le mura.
Questi hà di Monarchia nel cor l’ambascia,
     E non assonna, e toglie al corpo l’esca,
     Sì di quà giù cieco desir l’invesca;
     Poi l’alma spira, e i Regni à i Regni lascia.
Così ’l Tempo distrugge, e Morte acerba
     Involve nel silenzio ogni fatica
     Di mortal man. la già famosa il dica
     Roma, che sol di Roma il nome serba.
Ciò non di tè, nè di quei carmi illustri
     Nobil   Chiabrera ond’hoggi al Mondo tanto
     Diletti, e giovi, il cui celeste canto
     Vince d’Apollo stesso i pregi industri.
Ma se scherzando Clio per te rimbomba
     Alto così; qual à tè gloria, e quale
     A noi darà tesor ricco immortale
     Di   rodi, e d’Amedeoo la chiara tromba?
Felice quei, che l’honorato calle
     Seguirà, che n’additi; e s’à le cime
     Non potrà di Permesso orma sublime
     Segnar; ne scorra humil la bassa Valle.
Di tentar fama io mai non sarò stanca
     Perche ’l mio nome invido oblìo non copra:
     Benche m’avveggia, che sudando à l’opra
     Divien pallido il volto, e ’l crin s’imbianca.