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Quegli superbo tetto erger procura
Fastoso al Ciel; ma fiero il gran Tridente
Scuote Nettuno, onde veggiam repente
Tremando il suol precipitar le mura.
Questi hà di Monarchia nel cor l’ambascia,
E non assonna, e toglie al corpo l’esca,
Sì di quà giù cieco desir l’invesca;
Poi l’alma spira, e i Regni à i Regni lascia.
Così ’l Tempo distrugge, e Morte acerba
Involve nel silenzio ogni fatica
Di mortal man. la già famosa il dica
Roma, che sol di Roma il nome serba.
Ciò non di tè, nè di quei carmi illustri
Nobil Chiabrera ond’hoggi al Mondo tanto
Diletti, e giovi, il cui celeste canto
Vince d’Apollo stesso i pregi industri.
Ma se scherzando Clio per te rimbomba
Alto così; qual à tè gloria, e quale
A noi darà tesor ricco immortale
Di rodi, e d’Amedeoo la chiara tromba?
Felice quei, che l’honorato calle
Seguirà, che n’additi; e s’à le cime
Non potrà di Permesso orma sublime
Segnar; ne scorra humil la bassa Valle.
Di tentar fama io mai non sarò stanca
Perche ’l mio nome invido oblìo non copra:
Benche m’avveggia, che sudando à l’opra
Divien pallido il volto, e ’l crin s’imbianca.
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