Ricordi delle Alpi/Parte Prima/VI

Il ponte d’Arquino

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VI.

Il ponte d’Arquino.

In questa, io m’era appoggiato al parapetto del ponte, spingendo curioso lo sguardo nelle profonde sonanti acque del Màllero. Mi parve uno spettacolo degno di contemplarsi per qualche tempo; e, sorrettomi il capo con ambedue le mani, mi v’adagiai meditando.

Sotto il ponte, la cui altezza è spaventosa, stendesi tra vivo scoglio capace lago, dove rapide e veloci le acque si svolgono per versarsi nell’inferiore lor letto di roccia.

Al disopra del quale, pure incavato nel sasso vivo, havvi altro assai ristretto lago, [p. 44 modifica]quasi circolare, che dà idea di cisterna; in cui da un’altezza di alquanti metri, spartite in due grosse colonne, meno alta quella a sinistra, le acque piombano fragorose; donde raccolte in unico grossissimo fascio, cadono rigurgitanti da breve altezza nel maggiore lago. Il quale versarsi di acque così riunite, sveglia un senso di forte terrore, per chi almeno non abbia chiuso la immaginazione e gîi affetti alle seene grandiose della natura.

Quelle immani colonne d’acqua, che subissavano giù con ispaventoso romore, pareano all’agitata fantasia due vomitorî di sostanza viva: e il sollevarsi di polle furenti, di ondate rabbiose, le une sovrastanti alle altre, strani animali in lotta. Lo spezzarsi dell’elemento nelle pareti di quell'orrido pozzo per frangersi in mille versi con lattea bianchezza, sfumante, veloce sulla superficie agitata; la sottilissima pioggia di spruzzi, che al rompersi de’ fasci immani ricade e risale in continuo ballo, dipingendosi pel riflesso dei raggi solari co’ più vaghi colori dell’iride, tenue arco di pace in quella fredda e convulsa atmosfera, mi eccitava mille e mille immagini diverse. Più di tutto la manifestazione di quella forza o poderosa vita (se al moto dell’instabile elemento convenga tal nome, come si pensa da molti in diverse maniere) mi [p. 45 modifica]raffigurava una lotta fra nimica titanica gente, la quale mostrasse una sola parte delle strane membra in quella bizzarrissima ebollizione o rigurgitamento di acque, sì che l’accesa fantasia travedeva ora lo stendersi d’un omero gigantesco, ora un dorso cavallino, or una gamba sterminata, ed ora un colossale avambraccio.

Arrogi a questa scena di fragore continuo, l’altra non così viva, ma certo non meno sorprendente, del maggior lago; il tonfo tosto soffocato di due grossi sassi che gittai, a prova, da quell’altezza; e finalmente quella specie di fascino onde s’è naturalmente colpiti in ogni manifestazione della natura; e non mi recherai a colpa, se la mente, nei pochi istanti, che quasi impietrito rimasi a contemplare le acque sottostanti, corse sull’ippogrifo della fantasia, e mi rappresentò in quel plumbeo elemento i sogni trasparenti che ti stendo, o l’uovo del mondo.