Ricordanze della mia vita/Parte terza/LXVIII. Senza notizie
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LXVIII
(Senza notizie).
Santo Stefano, 26 ottobre 1858.
Carissima Gigia mia,
Il non avere ricevuto tue lettere mi fa stare in gran pena. Ma perché tu non mi scrivi? O sei nascosta, o sei carcerata. Dalle lettere di Peppino, che non si spiegano chiaro, perché non possono, io non so cavar nulla: però lavoro con la fantasia, fo mille pensieri tutti dolorosi, mi pare di vederti in carcere, e il cuore mi si spezza. Non so che speranze hai di accomodar questo affare, e che si è fatto: sono all’oscuro di tutto, e questa incertezza mi tormenta piú che qualunque certezza dolorosa. Forse sei ricercata e perseguitata: e posso io stare tranquillo? È un tormento che non l’ho provato mai. Gigia mia, se mi ami non mi nascondere nulla, e se hai qualche dolore devi dirmelo, perché devi dividerlo col tuo compagno antico che ti ama tanto. Tu hai diviso con me tanti dolori miei, perché io non debbo aver parte dei tuoi? Scrivimi dunque, fa nascondere bene la lettera come il solito, e non dubitare, io la riceverò sicuramente.
L’altrieri fu il giorno del tuo nome, io pensai sempre a te e al nostro caro figliuolo, ma sentivo un dolore vivo, un dolore proprio sul corpo, quando taluno dei compagni mi diceva che era il giorno del nome tuo e di Raffaele. Dove sei ora, Gigia mia? Come stai? che fai? che senti? Quanto desidero di vederti, e quanto mi strugge questo desiderio! Scrivimi a lungo, e parlami di te. Io non ricevo piú una lettera che mi contenti, una lettera con tutte quelle particolaritá che sai scrivere tu, e che mi facevano pensare e vedere. Ora debbo indovinare parole secche e monche e coperte. Scrivimi Gigia mia: e se non puoi a lungo, scrivimi anche una riga: rimanere senza lettere tue per me è rimanere senza luce e senza amore. Non mi rimane altra persona al mondo che tu, perché sai che i figliuoli pigliano altre affezioni; ora come io non debbo amarti e dolermi delle tue disgrazie?
Per scrivere di te, ti abbiamo chiamato Giulia: ma questo scambio di nomi ha prodotto un inconveniente, che io non ho notizie precise della cara e benedetta nostra figliuola, che abbraccio e benedico mille volte, e desidero che ella mi scriva due righe sole, e mi dica come sta ella e la sua bambina. Povera figlia, quanto deve ella sofferire per la mamma!
Che novelle vi sono? viene o non viene a conclusione questo affare del matrimonio e dell’amnistia, che ora m’importa di piú perché s’accomoderebbe anche il tuo affare. Questo trascinarci cosí a strazio è uno sfinimento. Finisse una volta, o non ci tormentassero piú con voci di amnistia, ché io ci saprò anche morire ridendomi altamente di chi mi fa stare qui. Sono dieci anni, e saria ormai tempo che vi si ponesse un termine. Del resto ci ho fatto il callo, e per me ci penso poco. Mi duole di te, diletta mia, che ora sei sola e perseguitata, e Dio sa che avrai a soffrire per essere andata a vedere tuo figlio. E che notizie hai del povero figlio? Ti ho dimandato tante cose di lui ed aspetto che tu me le dica quando potrai. Ho il cuore proprio lacerato, e mi fa male.
In ventura ti manderò il discorso intorno a Luciano. Ne ho fatto fare una copia da Gennarino, ma non posso farla pel fine che mi ero proposto. Io vorrei che se ne facesse una copia di carattere buono e chiaro, da mandarla a Panizzi ed a lord Holland, i quali sono nominati nel discorso, ed è dovere che io ne mandi ad essi una copia.
Le 9 ½.
Al momento che ti scrivo ricevo la lettera di Errico, che mi scrive che tu sei ricercata dalla polizia, e che egli pensa di fare in nome tuo una dimanda al re, e chiede il mio avviso. Si faccia, dico io; e l’ho detto da un pezzo. E approvo pienamente che la dimanda sia presentata dal cardinale di Capua, o da monsignor Tortora. Si faccia subito, purché tu sei salva, o Gigia mia. La dimanda sia fatta bene, vi si dica che non hai né cospirato, né parlato, né pensato a politica, ma a tuo figlio; e che è una triste calunnia quella che descriveva criminose le pratiche di una povera madre per aiutare suo figlio. Franchezza insomma, perché tu non hai coscienza di avere offeso nessun governo del mondo. Faccia Errico e subito. Questa sua lettera mi ha chiarito, mi ha fatto conoscere nettamente ogni cosa, ed io quantunque addolorato per la condizione in cui tu sei, pure so che è, che si fa, e si vuol fare, e sono meno agitato. Guardati, Gigia mia, e non farti arrestare; che la polizia ha molta stizza con te. Non voglio sapere dove sei; ti dico solamente guardati, ed abbi prudenza.
Aspetta pazientemente e non esporti agli insulti di una gente vile e sciocca.
Il tuo Luigi.