Ragguaglio sul terremoto di Cagli, 1781
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SUCCINTO
RAGGUAGLIO
Delle funestissime conseguenze apportate alla Città di
Cagli e suoi annessi, e ad altri Luoghi di questa
Legazione d'Urbino dal formidabile Terremoto
avvenuto la mattina dei 3. Giugno 1781.
Dato da Cagli medesima il dì 8. del suddetto.
In vista di ciò si prese il partito di porci tutti all’aperta campagna insieme col nostro Pastore, e Giusdicente, formandovi delle trabacche con tende, lenzuoli, e coperte, e facendo ivi trasportare que’ pagliacci, e materassi, che si poteva. Appena ci fummo radunati, che venimmo sorpresi da un Turbine così spaventoso, che pel continuo fragore, e strepito di tuoni e lampi, credemmo giunta la fine del Mondo, raccomandando tutti l’anima all’Altissimo. Dopo mezz’ora però, e dopo la caduta di poche grosse gocce di acqua il Turbine si dileguò affatto, e ritornò l’aere sereno, ma continuò il Tremuoto, e lo spavento.
Ognuno può immaginarsi quale si fosse la nostra situazione, veramente infelicissima. Esposti di giorno e di notte all’intemperie dell’Aria, ai cocenti raggi del Sole, con sentirsi non altro che lamentevoli grida di chi si trovava ferito, di chi perduto aveva o il Padre, o il Fratello, o il Figlio; Altri sentivansi a lamentare del perduto Tetto, e delle perdute proprie sostanze. La penuria del pane per la caduta de’ forni, e di quasi tutto il bisognevole rendeva la scena la più luttuosa, e la più tragica. Si sarebbe potuto aver rifugio ne’ tugurj della campagna, ma svanì ancora questa risorsa, coll’avviso recatoci, che le Abitazioni della medesima, e per sino le più piccole celle si erano affatto diroccate
Tale e tanta fu la confusione, e lo spavento, che badando ognuno a ripararsi alla meglio, non si pensò che tardi di ricorrere al nostro vigilantissimo Monsig. Presidente per ottenere l’opportuno soccorso e Provvedimento. Questi però con quel zelo ed amore, che gli è proprio, prevenne il nostro avviso con ispedirci sul fatto degli Ufficiali, i quali diedero gli ordini i più opportuni per lo stato, in cui ci trovavamo, e nell’istante fummo provveduti del necessario sostentamento; ed in appresso di giorno in giorno vie più abbiamo provato i buoni effetti della vigile cura di Sua Eccellenza Monsig. Presidente. Per liberarci dalla fame à fatti provvisionalmente erigere de’ nuovi forni all’aperta campagna; dei macelli per la carne; e dalle circonvicine Comunità ci à fatto somministrare quel più che ci bisognava. A' avuta tutta la cura per la disotterazione de’ Cadaveri, onde il loro putrefarsi non andasse ad infettar l’aria, e di sotto le macerie del Duomo sopra sessanta già si contano i corpi disotterrati; in modo che fra le angustie dobbiamo rendere grazie all’Altissimo di averci dato un tanto Benefattore.
Uguali obbligazioni dobbiamo al nostro piissimo Pastore, il quale non mancò di subito sollevarci con quanto aveva del proprio, e specialmente nel farci somministrare quegli Spirituali Sussidj, che posero in quiete le anime nostre, e ci disposero anzi a rendere grazie al Dio, che giustamente per le nostre colpe ci à flagellati.
Da S. Angelo in Vado si sente, che le Case abbiano gravemente patito, e più d’ogni altro edifizio il Convento de’ PP. Min. Osservanti, quello de’ PP. Conventuali, e il Monastero di S. Catterina, dove per essersi precipitata la Chiesa sono perite diverse persone, ed alcune Monache, che si trovavano in Coretto ad ascoltare la S. Messa; e nella campagna egualmente si veggono diroccate in gran parte le Case e le Chiese, e specialmente quella di S. Pietro in Metola.
Sentesi dalla Città d’Urbino, che in quel Metropolitano magnifico Tempio si vede una piccola sì, ma penetrante fessura nel mezzo del volto, che tutte le Fabbriche, quali più quali meno, si trovano danneggiate, e più delle altre il Collegio, e le Chiese di S. Domenico, e di S. Francesco; che del gran Palazzo poi Apostolico gravissimo è il danno, che viene ad avere sofferta la muraglia di facciata, e l’arringhiera del giardino; e che gli Abitanti di quella Città intimoriti dalle ripetute scosse, che in numero di dodici si erano ivi in detto giorno fatte sentire, nella maggior parte si sono ritirati in campagna.
La Città di Urbania non à patito meno, e specialmente in campagna la Chiesa Parrocchiale di S. Donato colla sua improvvisa ed instantanea caduta è stata l’eccidio di 70. e più persone col Paroco, che vi celebrava.
Cantiano parimente non n’è rimasto illeso, e nella sua Villa, chiamata Palcano, è caduta la Chiesa, e delle 70. persone, che vi erano, 20. perirono nell’istante, e 40. si trovano così mal ridotte, che danno poca speranza di vita. Anche l’altra Villa, detta Chiaserna, à le sue abitazioni tutte rovinate, benchè de’ morti non contasi che una sola Donna.
Fossombrone, Pergola, e tutti i circonvicini luoghi contano poche case, e Tempj, che non sieno rimasti offesi. Il Castello di Mont’Ajate è divenuto un mucchio di sassi. Sestino poi e Carpegna ànno notabilmente patito. Mercatello e tutti gli annessi Castelli ànno sofferto del danno. Appecchio però non lascia vedere che vestigia di diroccate Abitazioni colla morte di più Persone.
Da ciò si rileva, che tutta quasi la Legazione di Urbino è in un tratto divenuta il teatro del terrore, del pianto, e della desolazione: Poichè’, sebbene dalle marittime Città di Sinigaglia e di Pesaro non siensi sofferti i danni sopraccennati, pure la violenza, e molto più la lunga durata delle replicate scosse di Tremuoto fattesi in quelle contemporaneamente sentire, la caduta di molti cammini, e le fessure benchè piccole cagionate nelle volte, nelle soffitte, e nelle muraglie di diverse Chiese, Case, e Palazzi ànno sbigottito talmente gli animi degli Abitanti, che ad ogni leggiero movimento tremano dalla paura.
Non àvvi memoria, che in S. Marino siasi mai fatto sentire il Tremuoto, e pure in questa occasione (tanto è stato veemente!) è riuscito, come in S. Leo, sensibilissimo.
IN PESARO. IN CASA GAVELLI.
Con Licenza de' Superiori.