Quel che vidi e quel che intesi/Capitolo XXXI

Capitolo XXXI

Nella foresta di Fontainebleau

../Capitolo XXX ../Capitolo XXXII IncludiIntestazione 25 febbraio 2021 75% Da definire

Capitolo XXX Capitolo XXXII
[p. 161 modifica]

XXXI.

NELLA FORESTA DI FONTAINEBLEAU.


Quando Giorgio Mason, del tutto rinfrancato e pieno di rinnovato ardore per l’Arte, impaziente di riveder la famiglia e di rimettersi al lavoro, si congedò da me a Parigi per tornarsene a casa sua, io vi rimasi. Assai mi allettava la molta cordialità verso di me dei confratelli francesi. Inoltre s’era tuttora nella buona stagione; ed a me era assai gradito di percorrere i pittoreschi dintorni della grande città, tutti prati e boschi, popolati, qua e là, di gaie e laboriose colonie di pittori. Eran, quelle, le campagne nelle quali erasi formata la tanto gloriosa pittura francese di paesaggio; notevole fra tutte quella della «Scuola di Barbizon» che avea avuto il suo maggior capolavoro nel Etang de Ville d’Avray del gran Corot, capo incontestato di questa scuola.

Girando per la famosa foresta di Fontainebleau, la voglia mi prese di misurarmi con quel paesaggio e di fermarmici qualche tempo a dipingere.

A Marlotte era stabilita una piccola simpatica colonia di pittori, che mi accolsero con la consueta allegra cordialità ed io mi fermai con essi.

E con taluni di essi andavo a lavorare. Il mio poderoso naso, il mio francese un po’ imbarazzato, erano qualche volta motivo ai giovani e scorbellati studenti di beffarsi alquanto di me. Ma un di loro, certo Villers, un giorno, avendo veduto uno studio che io avea alle mani, parlandone agli altri, per significare che io non era, come suol dirsi, uomo da prendere sotto gamba udii che diceva loro:

[p. 162 modifica]L’Italien n’est pas si bête comme il en a l’air.

Ed io fui, da allora, più considerato.

Con molto interesse io continuai a lavorare, rendendomi conto delle profonde differenze di quel paesaggio da quello italiano, dipingendo il quale erasi formata l’arte mia.

Interessante paesaggio quello che io andavo dipingendo, ma quanto più freddo, quanto più netto e determinato di quello italiano, fatto tanto più vario e tanto più vago sotto la divina luce del nostro cielo!.

Frutto del mio lavoro di paese di quei giorni furono due bozzetti: la Mare aux feés e la Gorge aux loups e qualche altro minor lavoro. Son più che trent’anni che io ho questi bozzetti nel mio studio; ma la voglia non me ne è mai venuta di farne dei quadri.

Ma durante questi mesi della mia campagna pittorica nei recessi della foresta di Fontainebleau, io ebbi l’inspirazione di un quadro che mi ha, da allora, accompagnato per tutta la vita; al quale lavoro, a sbalzi, tuttora.

Questa mia pittura, come il quadro Donne che caricano legna su di una barca a Porto d’Anzio, io non ho mai voluto ven- dere agli amatori dell’arte mia, avendo la speranza che almeno queste mie opere dopo la mia morte possano essere trovate degne di figurare in qualche galleria della nativa mia città. O che, comunque, rimangano a rappresentar l’arte mia in Italia, dove, me vivente, quella non ha interessato alcun compratore.

L’inspirazione di questo quadro io dovetti, come di frequente mi è avvenuto, ad un furtuito caso. Io stava dipingendo nella foresta uno degli studi che aveva cominciato. Distesa sull’erba, non lontano da me, era una ragazza soprannominata la Lionne a causa della sua copiosa e crespa capigliatura color di rame; la quale viveva in mezzo agli artisti cui serviva non di rado da modella. Ad un tratto essa si alzò in piedi e levò entrambe le braccia, per scuotere dai capelli delle foglie morte che vi si erano impigliate. La visione era assai graziosa. E mi suggerì l’idea di fare un quadro in cui una donna nuda, la più bella [p. 163 modifica]espressione della natura, si specchiasse nell’acqua nell’atteggiamento stesso nel quale la Lionne mi era apparsa. Questa, che avea amore all’Arte, acconsentì di posar nuda nella foresta, come ninfa vivente, nella tenue luce che vi penetrava attraverso il fogliame degli alberi.


Ritornato a Firenze, io cominciai subito a riportare il bozzetto sulla tela alla grandezza del vero.

Gli effetti di luce e di colore, che io ho cercato di raggiungere in questo mio quadro, hanno fatto che sia stato per me un grande sforzo artistico. Anche la forma mi ha molto preoccupato, essendo sempre alla ricerca della perfezione di questa. Credo che, per una parte o per l’altra del loro corpo, ma specie per le gambe, tanto difficili a trovarsi in tutto perfette, io ho avuto a modello, di certo, un centinaio e più di donne. Fra queste signore tali che non si sarebbe mai pensato potessero consentire a tale ufficio; alle quali, però, piacque di concorrere alla creazione di un’opera d’arte.

Per parecchio tempo io fui tanto geloso di questo mio lavoro che lo mostravo soltanto a pochi privilegiati amici e confratelli in Arte. A costoro, molte volte, parve essere il quadro giunto a tale grado di perfezione da non potere essere condotto più avanti.

A me non è ancora apparso tale da interamente soddisfarmi. Da questo mio lavoro non ho potuto mai a lungo separarmi. Quando, più tardi, io venni inviato a Roma, onde riordinarvi le cose del movimento nazionale, quando gli eventi si andavano maturando, questo quadro io portai con me.

Rimasto a Roma dopo Mentana, lo stesso rischiò di essere, con ogni altra cosa mia, confiscato dal Governo Pontificio. Generosi ed accorti amici riuscirono a salvare tutta la mia roba; ed io non fui contento fino a che non mi fu dato di riavere la ninfa nel mio studio di Firenze.

Non poca confusione si fa per i titoli dei miei varii quadri; sia perchè ne ho dati diversi ad uno stesso quadro, sia perchè [p. 164 modifica]altri titoli hanno loro attribuiti i miei amici ed i cataloghi delle varie esposizioni alle quali io gli inviai. Così questo quadro, cominciato a Fontainebleau nel 1863, ha avuto non pochi titoli diversi. Si è chiamato Donna alla fontana ed anche Venere nel bosco, Ninfa nel bosco, titolo che a me piaceva. Quando, per la aggressione germanica, la Francia nel 1870 venne vinta ed umiliata, qualcuno, ad esprimere la fede e l’augurio che la Francia sarebbe risorta, il quadro, che avea avuto origine in quel paese, chiamò: La France se rénouvelle toujours.

Ed io lo lasciai chiamare e lo chiamai io stesso, talvolta, così. Non avendolo io mai inviato ad alcuna esposizione non ebbi mai motivo di battezzar definitivamente l’opera mia.


Nel tardo autunno del 1863 lasciai Marlotte per Parigi. E dopo una non lunga sosta in questa città, dove non m’era gradito di farmi sorprendere dall’inverno, me ne tornai con piacere a Firenze, non senza promettere agli amici ed a me stesso che sarei tornato nella prossima estate per condurvi un’altra campagna di lavoro. Gli avvenimenti, però, mi doveano togliere la possibilità di mantenere questa mia promessa.