Quel che vidi e quel che intesi/Capitolo XII

Capitolo XII
La Pasqua del 1849 in Roma

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XII.

LA PASQUA DEL 1849 IN ROMA.


Erano i Francesi già sbarcati a Civitavecchia e non ancora Roma aveva il proprio municipio. Così, certo Ugo ed io, pensammo di far la lista dei candidati municipali. E stampata la lista di notte venne affissa, in gran parte, da noi stessi.

In questa lista figuravano nomi di uomini maturi, di valore ed intemerati e di molti giovani ardenti ed attivi. Eran tra i primi: Armellini, Galeotti, Sturbinetti, Lunati, Piacentini ed altri. I giovani erano entusiasti e pratici. Così il municipio funzionò egregiamente.

Difatti in poco tempo il municipio, nel quale v’era anch’io e vi reggeva molte cariche, rafforzò le mura di Roma e vettovagliò la città; cosicchè per tutte le settimane che durò l’assedio si ebber viveri a buon mercato. Così, per esempio, Grandoni ebbe incarico di andare in Sabina ad incettarvi una quantità enorme di olio, che portata in Roma veniva man mano rilasciata ai bottegai al patto che lo vendessero al pubblico con piccolo guadagno.

Luigi Silvestrelli, ricchissimo mercante di campagna, empì Roma di bestiame da macello. Una notte, a cavallo vestiti da butteri siamo passati fra le armate francese e spagnola, spingendo col pungolo trecento capi di bestiame che riuscimmo ad introdurre in Roma.

Questa di condur bestiami dentro Roma non era facile impresa. Bisognava agir alla chetichella e camminar tenendo il fondo delle valli. Ordinariamente per condurre quegli animali selvaggi è necessario mandare avanti due di loro, più grossi e più cornuti con grandi campani al collo e capaci di passar [p. I 12 modifica] Alessandro Calandrelli [p. I 13 modifica] Il Vascello durante l'assedio [p. 57 modifica]per qualunque luogo, guidati dall’inflessioni stentoree del buttero, volgendo senza paventare a dritta ed a manca. Ma, nel nostro caso, non potevamo passarci il lusso dei due «mandarini» — così si chiamano i due buoi del campano — onde non essere scoperti dal nemico, che si sarebbe pappato lui tutto quel ben di Dio.

L’impresa di approvisionare Roma di carne andò felicemente malgrado le gravi difficoltà non prive di poesia.


Lo sbarco dei Francesi a Civitavecchia fece la gioia dei clericali come di un certo partito liberale conservatore guelfo. Ma nè l’uno nè l’altro osò alzar la testa.... per paura di scoprir la carotide. Però i capi di tali partiti, quietamente promisero ai Francesi di aprir loro una porta che trovasi sotto i giardini del Vaticano; come pur promisero che le truppe nostre non si sarebber contro di lor battute, perchè essi le avrebber comprate.

C’erano poi, fra i rivoluzionari, uomini terribili che atterrivano con fatti atroci. Zambianchi, ad esempio, il quale era ufficiale superiore dei finanzieri, quando incontrava dei preti che non gli andavano a genio li faceva arrestare e li faceva chiudere nel convento di San Callisto. Durante la prigionia permetteva a quei disgraziati di andar a prendere aria nell’orto di quel convento ed a passeggiare in un certo viale che termina con una fontana. Mentre il povero prete beatamente si sgranchiva le gambe, gli arrivava una fucilata che lo abbatteva.

Un di questi infelici cadde con la testa nella fontana. Lo Zambianchi non solo assisteva, ma stabiliva gare tra i suoi dipendenti in questo atrocissimo tiro a bersaglio.

Con buon successo, per far cessar tanto feroce carneficina, più tardi ricorremmo, io e Cortesi, a Garibaldi.


Era imminente la Pasqua di quell’anno e Mazzini volle che ai Romani non mancasse la benedizione -— che in tempi ordinari, per quella ricorrenza, era il Santo Padre che la impartiva [p. 58 modifica]al popolo — dalla gran loggia di San Pietro in Vaticano. Spettacolo imponente, avanzo in epoca di decadenza dell’antica grandiosità romana.

Per raggiunger lo scopo, che avea non trascurabile finalità politica, Mazzini si rivolse a me. Ed io accettai. Non era facile trovare un sacerdote il quale si prestasse a sostituire in tanta cerimonia il pontefice.

Ma pensai subito a prete Spola, ne andai in cerca e gli tenni questo discorso:

— Senti, prete, benchè tu non ti sia portato benissimo, la Provvidenza e le circostanze ti aiutano. lo ti promisi di farti vescovo in partibus, in luogo di ciò ti faccio papa. Vuoi tu impartire la benedizione di Pasqua dalla gran loggia di San Pietro?

— Voglio — rispose il prete libertino. Ma quanto mi date?

— Trenta scudi.

— Che sian scudi e non denari!...

Il giorno dopo, che era quello di Pasqua, si raffazzonò alla meglio un simulacro di Corte Pontificia con relativi flabelli. Si fecero quadrati di truppe in piazza di San Pietro ed i Romani non mancarono di affluirvi; parte per lo spettacolo, parte per abitudine, parte per religione. Le campane suonavan da rivoluzionarie, le artiglierie sembravan tuonassero più a battaglia che a festa.

Intanto prete Spola in sontuoso paludamento, aperte con gran solennità le braccia, benediva il popolo.

Il triumviri, Mazzini Armellini e Saffi, assistevano alla gran cerimonia dalla loggia della Guardia Svizzera.

Mazzini, mi par ancora di vederlo, in marsina nera ed in cravatta bianca, con prete Arduini accanto, tutto assorto e pensoso, mirava l’imponentissimo spettacolo. E quando fu finito si scosse e voltosi a me che pur gli ero accosto, disse:

— Questa religione si regge e si reggerà ancora per molto tempo per la gran bellezza della forma.

Enfatico il prete Arduini mi abbracciò dicendomi;

[p. 59 modifica]— Siete un vero angelo!...

Io mi schermii e replicai:

— Risponderà l’avvenire!... Pare, però che saremo bruttini!...

Don Felice Spola ebbe a pagare assai cara tale sua passeggera gloria. Restaurato Pio IX egli venne acciuffato dalla Santa Inquisizione; e più nulla si seppe di lui.