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per qualunque luogo, guidati dall’inflessioni stentoree del buttero, volgendo senza paventare a dritta ed a manca. Ma, nel nostro caso, non potevamo passarci il lusso dei due «mandarini» — così si chiamano i due buoi del campano — onde non essere scoperti dal nemico, che si sarebbe pappato lui tutto quel ben di Dio.

L’impresa di approvisionare Roma di carne andò felicemente malgrado le gravi difficoltà non prive di poesia.


Lo sbarco dei Francesi a Civitavecchia fece la gioia dei clericali come di un certo partito liberale conservatore guelfo. Ma nè l’uno nè l’altro osò alzar la testa.... per paura di scoprir la carotide. Però i capi di tali partiti, quietamente promisero ai Francesi di aprir loro una porta che trovasi sotto i giardini del Vaticano; come pur promisero che le truppe nostre non si sarebber contro di lor battute, perchè essi le avrebber comprate.

C’erano poi, fra i rivoluzionari, uomini terribili che atterrivano con fatti atroci. Zambianchi, ad esempio, il quale era ufficiale superiore dei finanzieri, quando incontrava dei preti che non gli andavano a genio li faceva arrestare e li faceva chiudere nel convento di San Callisto. Durante la prigionia permetteva a quei disgraziati di andar a prendere aria nell’orto di quel convento ed a passeggiare in un certo viale che termina con una fontana. Mentre il povero prete beatamente si sgranchiva le gambe, gli arrivava una fucilata che lo abbatteva.

Un di questi infelici cadde con la testa nella fontana. Lo Zambianchi non solo assisteva, ma stabiliva gare tra i suoi dipendenti in questo atrocissimo tiro a bersaglio.

Con buon successo, per far cessar tanto feroce carneficina, più tardi ricorremmo, io e Cortesi, a Garibaldi.


Era imminente la Pasqua di quell’anno e Mazzini volle che ai Romani non mancasse la benedizione -— che in tempi ordinari, per quella ricorrenza, era il Santo Padre che la impartiva