Quel che vidi e quel che intesi/Capitolo X

Capitolo X
Ritorno a Roma e all'arte

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Capitolo IX Capitolo XI

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X.

RITORNO A ROMA ED ALL'ARTE.


Arrivati a Roma solennemente depositammo il feretro del nostro eroe nella chiesa del Gesù perchè centrale ed eminentemente gesuitica.

Il funerale fu qui grandioso.

Vi accadde un incidente fra noi legionari ed i generali. Questi avrebbero preteso di figurarvi al posto d’onore ai lati del catafalco. Noi dicemmo che avrebber potuto starci, ma assieme a noi stessi che tenevamo il posto che avevamo avuto in combattimento accanto al nostro comandante; e con ciò fu affare finito.

[p. 47 modifica]Quando eravam giunti con la Legione Romana in Roma, non sapevamo che farne, dove metterla. Pensammo, allora, di acquartierarla. E, non senza motivo, scegliemmo per caserma di quella il convento dei Gesuiti accosto alla chiesa del Gesù.

Allo scopo ci impadronimmo della porta di dietro di quel convento, di faccia al fianco del palazzo di Venezia, ed andammo sfondando una porta dopo l’altra. Ci fermammo sol quando, con gran bel garbo, Galletti, gentiluomo e cavaliere, non ci convinse ch’era il caso di cessar di sfondar porte, la manifestazione antigesuitica essendo fatta e locali bastevoli occupati per l’acquartieramento della Legione.

Mentre si faceva questo lavoro di abbatter porte, rammento che misi l’occhio ad un buco di chiave per esplorare dove si andava. Ma mi ritrassi subito, avendone vergogna. Ma, avendo, poi, pensato che eravamo in terra nemica e che esplorar il terreno era legittimo, rimisi l’occhio al buco.


Che cosa vidi?...

Un gesuitino giovincello tranquillo, con un’espressione fra la femmina ed il maschio, seduto tra i libri avea una penna in mano e gli occhi umidi volti al cielo. Bussai gridando qualche parola; ma egli non si mosse. Dopo scrisse. Con ripetute spallate la porta cedette. Ma il gesuitino rimase sempre impassibilmente seduto e ci domandò se volevamo ucciderlo.

Rispondemmo:

— Manco per sogno!... Ma facci posto!...

E lui:

— Me ne anderò a far anime a Dio in altra parte!...

Guardammo quel che il gesuitello avea scritto. Leggemmo:

«Dio non paga il sabato!»

Deve ricordarsi, onde rendersi conto del nostro malanimo contro i Gesuiti, che l’influenza dei Gesuiti stessi era stata, o quanto meno si credeva, decisiva sull’animo di Pio IX per fargli emettere la famosa enciclica con la quale sconfessava la [p. 48 modifica]guerra che aveva benedetta, togliendo una gran forza morale e materiale alla guerra di liberazione. E, per di più, mettendo tutti noi, che eravamo a combattere, nel caso di potere essere considerati dagli Austriaci quali illegittimi belligeranti e, quindi, di poter essere liberamente sottoposti al trattamento dei briganti.

Finita questa breve campagna contro i Gesuiti, non mi parve vero di ritornarmene all’Arte. La vita militare, tranne che nel momento del combattimento, mi è sempre sembrata detestabile. Ed è perciò ch’io mai cercai di avere gradi superiori, che mi impegnassero, che io facilmente avrei potuto ottenere; ed, anzi, questi gradi deliberatamente scansai anco quando mi vennero offerti.


Non cercai di tornar nello studio di Francesco Podesti; perchè egli, dopo l’enciclica, di liberale era diventato codino. Andai, invece, nello studio di Massabò. Del colorito di questo non essendo molto contento, con lui mi applicai al disegno della figura.

Come primo coloritore era considerato, a quel tempo, il Clerici. Questo gli avean fatto riconoscere due quadri che avea allora esposto nei locali presso la Porta del Popolo, dove ora trovasi la caserma dei carabinieri. Un di questi quadri era grande e rappresentava I profanatori scacciati dal tempio, altro, più piccolo, era il San Biagio che cura la gola ad un bambino sorretto dalla mamma. Era, questo, di molto sentimento e di pittura libera. Tanto feci che ottenni, poi, di entrar nello studio Clerici, a condizioni, però ch’io mi adattassi a lavorar in una piccola cucinetta. Il maestro raramente vi entrava per correggermi. Egli esigeva che non si perdesse mai il fondo della tela, nella pittura, e detestava la biacca come il veleno. La sua ricerca era nelle ombre; poi piazzava la luce lasciando uno spazio di tela tra la luce e l’ombra. Con pennellesse di pelo di tasso trasportava poi la luce verso l’ombra e viceversa, formando così le mezze-tinte.

Se tutto questo sta, in parte, col vero tuttavia mancava, in atto, di vibrazione, di luce e di forma sentita e di intensità.

[p. I 10 modifica] Villa Corsini (Quattro Venti) [p. I 11 modifica] Bartolomeo Galletti. [p. 49 modifica]Dalla finestra della mia cucinetta si vedeva il Pincio ed un gruppo di cipressi. Un bel giorno mi dissi:

— Li voglio far senza permesso dei superiori, adoprando tutti i mezzi proibiti. Principiai col metter biacca sotto a tutto; e su questo preparativo fresco io impastai il colore. Questo schizzo non lo conservo più. Mi rammento che avea una certa impronta, ma che la cosa che più vi mancava era l’aria. Veduto ch’ebbe il Clerici questo mio schizzo, mi disse che era fatto contro tutti i suoi principii. Egli, infatti, aborriva la pittura fatta a corpo.

Dalla cucinetta passai nella via. Non solo, ma poco a poco dalla via andai fuor delle porte a respirare nell’aperta campagna.