Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/85


— 47 —

Quando eravam giunti con la Legione Romana in Roma, non sapevamo che farne, dove metterla. Pensammo, allora, di acquartierarla. E, non senza motivo, scegliemmo per caserma di quella il convento dei Gesuiti accosto alla chiesa del Gesù.

Allo scopo ci impadronimmo della porta di dietro di quel convento, di faccia al fianco del palazzo di Venezia, ed andammo sfondando una porta dopo l’altra. Ci fermammo sol quando, con gran bel garbo, Galletti, gentiluomo e cavaliere, non ci convinse ch’era il caso di cessar di sfondar porte, la manifestazione antigesuitica essendo fatta e locali bastevoli occupati per l’acquartieramento della Legione.

Mentre si faceva questo lavoro di abbatter porte, rammento che misi l’occhio ad un buco di chiave per esplorare dove si andava. Ma mi ritrassi subito, avendone vergogna. Ma, avendo, poi, pensato che eravamo in terra nemica e che esplorar il terreno era legittimo, rimisi l’occhio al buco.


Che cosa vidi?...

Un gesuitino giovincello tranquillo, con un’espressione fra la femmina ed il maschio, seduto tra i libri avea una penna in mano e gli occhi umidi volti al cielo. Bussai gridando qualche parola; ma egli non si mosse. Dopo scrisse. Con ripetute spallate la porta cedette. Ma il gesuitino rimase sempre impassibilmente seduto e ci domandò se volevamo ucciderlo.

Rispondemmo:

— Manco per sogno!... Ma facci posto!...

E lui:

— Me ne anderò a far anime a Dio in altra parte!...

Guardammo quel che il gesuitello avea scritto. Leggemmo:

«Dio non paga il sabato!»

Deve ricordarsi, onde rendersi conto del nostro malanimo contro i Gesuiti, che l’influenza dei Gesuiti stessi era stata, o quanto meno si credeva, decisiva sull’animo di Pio IX per fargli emettere la famosa enciclica con la quale sconfessava la