Quattro leggende (Jacopo da Varazze)/Leggenda I

Leggenda dell’Ascensione di Cristo

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Jacopo da Varazze - Quattro leggende (1849)
Traduzione dal latino di Anonimo (XIV secolo)
Leggenda dell’Ascensione di Cristo
A chi legge Leggenda II
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LEGGENDA

DELL’ASCENSIONE DI CRISTO




L’Ascensione del nostro Salvatore fue fatta xl dì dopo la Resurrezione. Della quale Ascensione dovemo1 vedere per ordine vii cose. onde la prima questione è, onde salìo2 Cristo in cielo. La seconda è, perchè non andòe incontanente dopo la Resurrezione, ma indugiossi xl dì. La terza è, in che modo andòe in cielo. La quarta3, con cui andòe in cielo. La quinta, con qual merito andòe in cielo. La sesta, ove andò. La settima ed ultima, perchè andò in cielo. Quanto è alla prima questione, cioè onde salìo Cristo in cielo; dovemo intendere che di Monte Uliveti dalla parte di Bettania andòe in cielo. onde fece Cristo andare li suoi discepoli in Monte Uliveti. E in quello medesimo dìe della sua Ascensione apparìo4 due fiate agli Appostoli, cioè alli undeci, quando cenavano nel cenacolo5. Onde tutti li Appostoli, e li discepoli, e le femine abitavano in Ierusalem, in quella parte che si chiamava Mello, e chiamavasi Monte Sion. Quivi era uno grande albergo, nel quale era usato Cristo di stare con li xii Appostoli anzi che fosse morto, nel quale stavano ora li xi Appostoli: e tutti li altri discepoli, e le sante femine, ch’erano usate di seguitare Cristo, stavano in altre case intorno alli Appostoli. E cenando li xi in quello cenaculo, apparìo Cristo loro, e riprese la loro durezza, e la loro incredulitade. E mangiato ch’ebbe con loro, comandò loro c’andassero6 in Monte Uliveti dalla parte di Bettania, e quivi apparve loro un’altra fiata, e benedicendoli, davante a loro andòe in cielo. Ed essendo poi in quello luogo edificata la [p. 2 modifica]ecclesia, ove avea Cristo tenuti li piedi quando si levòe in alto, non si poteva7 mai coprire lo pavimento della ecclesia: anzi quando li maestri lastricavano col marmo, levavasi in alto, e percoteva loro la faccia. Onde infino al dìe d’oggi si possono conoscere e vedere l’orme de’ piedi di Cristo nel luogo, onde andòe in alto. Quanto alla seconda questione, cioè perchè non andòe Cristo in cielo incontanente dopo la Resurrezione, ma indugiossi xl dì; dovemo intendere che di questo sono tre ragioni. La prima è, per dimostrare la veritade della Resurrezione, e della morte. Onde la morte di Cristo fue provata bene e sufficientemente nelli tre dì, che stette il corpo nel sepolcro; ma la verace Resurrezione, acciò che fosse bene approvata, volle più lungo ispazio di più dì; e perciò ebbe maggiore ispazio di tempo tra la Resurrezione e l’Ascensione, che tra la Passione e la Resurrezione. La seconda è, per consolazione delli Apostoli. Onde se la consolazione divina dee soperchiare la tribulazione, e il tempo della Passione di Cristo fue tempo di tribulazione alli Apostoli, più dì deono essere questi tra la Resurrezione e l’Ascensione, che quelli tra la Passione e la Resurrezione. La terza è, per la significazione, acciò che per questo intendiamo che la tribulazione dee essere ristorata per la consolazione. Onde secondo che stette morto nel sepolcro quaranta ore lo Segnore nostro, e questo fue tempo di tribulazione, così stette xl dì con li discepoli nel tempo della consolazione; sì che rispuose il dìe all’ora, e xl dì a xl ore8, nelli quali xl dì confermò che fosse vivo e risuscitato Cristo. Quanto alla terza questione, cioè in che modo andò Cristo in cielo; dovemo sapere che furono quattro modi. Lo primo fue potente, imperciò che per sua propia9 forza e vertude andòe in cielo: e avvegna che andasse in nebula, non fue per aiuto o per necessitade, ma dimostròe che ogni10 creatura è suggetta al creatore. Lo secondo modo fue palese, cioè vedendolo li discepoli fue levato11 in cielo. Onde egli disse: Vado ad eum, qui misit me. Io voe al mio Padre, che mi mandò, e nessuno di voi mi domanda ove vado; quasi dica: Io vado in cielo sì palesemente che tutti lo vedete. E perciò volle che il vedessero andare in cielo, acciò che fossero davante alla gente testimoni dell’Ascensione sua: e ancora acciò che si rallegrassero di vedere andare in cielo la natura, e la carne umana, e desiderasser12 di seguitarla. Lo terzo modo fue allegro; imperciò che giubilavano13 gli Angioli. [p. 3 modifica]Onde dice il Profeta: Ascendit Deus in iubilatione. Lo quarto modo fue veloce. Onde dice il Profeta: Exultavit ut gigas ad currendam viam. Egli si levò come uno gigante a correr lo suo viaggio. Egli andòe velocemente, concio sia cosa che salìo tanto spazio quasi in uno momento. Dice Rabbi Moises, grande filosofo, che ciascuno circulo di ciascuno pianeto14 del cielo hae in grossezza cinquecento anni, cioè tanto spazio quanto potesse uno andare di piana via in cinquecento anni. Ancora dice, che intra circulo e circulo è via di cinquecento anni. dunque conciosia cosa che sono15 sette circuli di sette pianete, sarà, secondo il suo detto, dalla spera del fuoco insino al cielo, ove sono le stelle, tanto spazio, quanto potrebbe altri andare d’una piana via16 in sette mila anni, andando ogni dìe xl miglia, e ’l migliaio fosse due milia passi17. Ma se questo è vero, Dio solo lo sa, che fece le cose tutte in numero, e in peso, e in misura. dunque salendo Cristo di terra in cielo fece grande salto. Quanto alla quarta questione, cioè con cui andò Cristo in cielo; dovemo sapere che andò con grande preda d’anime, e con grande moltitudine d’Angeli. E questo si dimostra in ciò che dice una chiosa, che alquanti Angeli minori, non conoscendo pienamente il mistero della divina Incarnazione, e della Passione, e della Resurrezione, vedendo venire Cristo al cielo con grande moltitudine d’Angeli, e di sante anime, maravigliaronsi, e dissero alli Angeli, che erano con Cristo: Quis est iste rex gloriæ? Chi è questo re glorioso? Ed ebbe lo Signore nostro allora rosso il corpo suo, cioè bagnato di sangue, perciò c’avea le margini18 delle piaghe nel corpo suo. Onde dice Santo Dionisio, che li Angeli fecero questione a Cristo, dicendo: Quare rubrum est vestimentum tuum? Perchè è sanguinoso lo tuo vestimento? cioè lo corpo. E dovemo sapere che volle Cristo riservare le margini nel corpo suo per cinque cagioni, secondo che dice Beda. Onde dice così: Lo Segnore volle riservare le margini nel corpo suo, e mostreralle19 nel giudicio, acciò che confermi la fede della Resurrezione, e per dimostrarle al Padre suo, pregandolo per li peccatori20, e acciò che veggano li buoni quanta misericordia ebbe Iddio inverso loro, salvandogli con la morte sua; e acciò che li dannati [p. 4 modifica]veggiano come sono giustamente dannati, dispregiando il beneficio della Passione; e acciò che mostri lo trionfo della sua vittoria. Quanto alla quinta questione, cioè con quale merito andòe in cielo Cristo; dovemo sapere che Cristo andòe in cielo con tre meriti. Lo primo fue merito di veritade; imperciò ch’elli adempiè21 a noi quello ch’elli ci promise per li suoi Profeti. Lo secondo fue merito di mansuetudine; imperciò che fue sacrificato, come pecora mansueta, per la vita del popolo. Lo terzo fue merito di giustizia; imperciò ch’elli scampò l’uomo, e trasselo della forza del diavolo, non per potenza nè per forza22 ma per giustizia. E per queste tre cose dice bene lo Profeta: Propter veritatem, et mansuetudinem, et iustitiam deducet te mirabiliter dextera tua. Per la veritade, e per la mansuetudine, e per la giustizia tua, la potenza tua maravigliosamente ti porterà in cielo. Quanto alla sesta questione, cioè ove andò Cristo; dovemo sapere che andòe in cielo; e sono quattro cieli. Lo primo è materiale: e questi sono molti, cioè aereo, etereo, olimpo, igneo, sidereo, acqueo, ed empireo. Lo secondo è cielo razionale, cioè ogni uomo giusto; e chiamasi cielo l’uomo giusto, imperciò che Dio abita in lui. Onde dice la Scrittura: Anima iusti sedes est sapientiæ. L’anima dell’uomo giusto è sede di sapienzia, cioè Dio: e chiamasi l’uomo giusto cielo, perciò che la conversazione sua è in cielo. Lo terzo è cielo intellettuale, cioè l’Angelo. Onde l’Angelo si chiama cielo, per ciò che è altissimo quanto alla dignitade e alla eccellenzia; è bellissimo per natura e grazia e gloria; ed è fortissimo per vertude e potenzia. Lo quarto è cielo supersustanziale, cioè egualitade della divina eccellenzia. E da questo cielo venne Cristo ad incarnare nel mondo; e a questo ritornòe, quando si partìo23 quinci, cioè a dicere che Cristo, umiliandosi a venire ad essere simile al servo, discese; ma dimostrando la sua deitade, tornò al cielo, cioè fue simile al Padre. E li primi tre cieli trapassò Cristo, e andò infino al quarto supersustanziale, cioè al suo Padre, col quale è una cosa. E perciò dice lo Profeta: Elevata est magnificentia tua super coelos. Sopra tutti li cieli è esaltata la tua grandezza. Quanto alla settima e ultima questione, cioè perchè andò Cristo in cielo; dovemo sapere che nove furono l’utilitadi dell’Ascensione di Cristo in cielo. La prima, fu che ne ricevemmo l’amore divino, cioè lo Spirito Santo. Onde Cristo disse alli discepoli: Nisi ego abiero, Paraclitus non veniet ad vos. Se io non vado in cielo, lo Spirito Santo consolatore non verrà a voi. La seconda utilitade, fue [p. 5 modifica]maggiore conoscimento di Dio. Onde dice Cristo: Si diligeretis me, gauderetis utique, quia vado ad Patrem. Sopra questa parola dice Santo Agostino così: Imperciò volle portare via da noi la forma del servo, acciò che noi vedessimo spiritualmente Iddio. La terza, è lo merito della fede. Onde dice Santo Agostino: Cristo si partì da noi, e andòe in cielo, acciò che torniamo a noi24, tornando al cuore nostro, e troviamo lui. La quarta, è la nostra securitade. Onde egli andòe in cielo, per essere nostro avvocato davante al Padre. molto potemo25 essere sicuri, quando avemo26 cotale avvocato. La quinta, è la nostra grandissima dignitade. Non è grandissima dignitade a noi, quando la nostra natura è esaltata infino al lato ritto del Padre onnipotente Iddio? La sesta, è fermezza della nostra speranza. Onde dice Santo Paolo Apostolo: Noi avendo lo grande Pontefice Gesù Cristo figliuolo di Dio davante al Padre, lo quale è passato in cielo, tegnamo27 salda la confessione della nostra speranza. La settima, è lo dimostramento della via. Onde dice Santo Agostino: Lo Salvatore è fatto nostra via: dunque leviamoci suso, e andiamo dopo lui. L’ottava, è l’aprimento della porta celestiale: onde canta la santa Ecclesia: Tu, devicto mortis aculeoFonte/commento: dal Te Deum, Aperuisti credentibus regna Coelorum. Tu, Cristo, avendo superato e vinto lo tormento della morte, apristi lo reame del cielo a coloro, che credono in te. La nona, è apparecchiamento del luogo: onde dice Cristo: Vado parare vobis locum. Io voe in cielo ad apparecchiare a voi lo luogo in vita eterna. Amen.




Note

  1. Cioè dobbiamo. Dovemo è desinenza primitiva del verbo Dovere, da che è da sapere che nei primi tempi di nostra lingua tutte le prime persone del plurale del presente dell’indicativo nei verbi della seconda coniugazione, che oggi escono in iamo, solevano terminare in emo: di che vedi il Mastrofini. In queste medesime Leggende troveremo anche sapemo, per sappiamo, conoscemo, per conosciamo; potemo, per potiamo; avemo, per aviamo; dicemo, per diciamo; semo, per siamo, ec. Dovemo l’usò, anche il Passavanti quando disse: Del quale principalmente dovemo parlare.
  2. Salitte. St. e così le altre volte.
  3. La quarta è. St. e così appresso: La quinta è ec.
  4. apparitte. St. e così l’altre volte.
  5. Così legge la Crusca a questa voce: il codice legge chiaramente cenaculo, come appresso.
  6. andessono. St.
  7. potette. St.
  8. sicchè risposero allora a quaranta dì quaranta ore. St.
  9. propria. St.
  10. ogne. St.
  11. elevato St.
  12. desiderassono. St.
  13. Così legge la Crusca a questa voce: il codice ha iubilavano.
  14. ciascuna pianeta. St.
  15. sieno. St.
  16. di via piana. St.
  17. e ’l miglio fosse domilia passi. St. Di migliaio, per miglio, voce antica, ne abbiamo esempio anche in Dante che disse: Purg. 13. 22. Quanto di qua per un migliai si conta, Tanto di là eravam noi già iti. Quanto a milia, vedi quello che ne dissi, sotto la voce mille, nella Tavola al Trattato del Ben vivere. Fir. Passigli, 1848, in 8.°
  18. li margini. St. e così appresso.
  19. Così ha la stampa, il cod. ha: mostrarle.
  20. per li uomini. St.
  21. adempiette. St.
  22. fortezza. St.
  23. partitte. St.
  24. torniamo a lui. St.
  25. Vedi la nota 1. a facc. 1. Del resto potemo l’usò anche il divino Poeta quando disse Inf. 9. 33. U’ non potemo entrar omai senz’ira.
  26. Vedi la nota suddetta. Anche avemo fu usato dall’Alighieri Inf. 28. 40. Quando avem volta la dolente strada. E dal Petr. cap. 11. Tutti avemo a cercar altri paesi.
  27. tegnamo, per teniamo, è voce, al dir del Mastrofini, poco naturale; pure se ne hanno varii esempi negli Antichi, come di tegna, per tenga: e noi nella Leggenda di S. Gio. Battista facc. 14. leggeremo tegne, per tegna, uscita anch’essa dismessa affatto, ma non erronea; e appresso pertegnono, per pertengono.