Quattro Milioni/Ai lettori

Ai lettori

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AI LETTORI

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voi, che state per leggermi, io mi presento collo stesso batticuore, col quale, ogni sera di recita, sono solita di uscire dalle quinte in scena. Giacchè può darsi che agli occhi degli spettatori io sappia dissimulare, fin dal primo presentarmi, la formidabile trepidanza che mi coglie; ma gli è certo che, affrontando il pubblico, ancora oggidì, dopo sette anni di carriera drammatica, io riprovo la strana emozione de’ primissimi giorni.

Ora io vengo a chiedervi un po’ di simpatia. Senza di essa tutto è vano a questo [p. 4 modifica] mondo. Pensate che io fui molto disgraziata. E questo libro, che è un vero romanzo, ma che vi parrà lo sfogo di un’anima in pena, vi darà forse la misura di misteriose e inenarrabili angosce, che m’hanno fatto patire.

Ora io vi prego, lettori, mettetevi ne’ miei panni, nei panni cioè di una donna, di una artista, di una madre, contro della quale ha inveito la giustizia degli uomini, e immaginate che questa donna, questa artista, questa madre si senta innocente e sotto il peso di una strana calunnia. Lo potete voi comprendere, il suo strazio? Immaginate voi l’agonia continua della sua anima offesa, cercante intorno uno spiraglio di luce? Vi fate voi un’idea della sua smania di giungere a scoprir le fila della trama avversa e le ragioni probabili della calunnia che la ha rovinata? Siete voi capaci di fantasticare con lei le mille ipotesi ch’ella sarà andata svolgendo nella sua mente, per ispiegare la causa della sua disgrazia?

Ed eccovi spiegata la ragione di questo mio romanzo. I letterati di professione [p. 5 modifica] dettano i loro libri per l’amore di gloria e per guadagnar dei quattrini. Io, che non sono altro che un’umile artista, ho scritto per isfogarmi, pur senza speranza di avere la giustificazione.

Come è ben lecito pensarlo, il mio libro non potrebbe essere stato scritto da altri. Se così fosse, non avrebbe più nessun valore! Chi mi conosce, del resto, sa che io so abbastanza connettere, e che scrivo in modo da farmi capire. Nella mia vita ho accostate tali persone ammodo, tali ingegni, tali personaggi illustri, che non avrei potuto rimaner un’idiota, neppur volendo.

Dico questo, perchè ho letto in parecchi giornali certe lievi insinuazioni, che mi hanno un poco ferita.

Ai signori giornalisti poi io mi volgo seriamente e senza false reticenze, domandando loro un poco di indulgenza. Non è che mediante questa bella virtù delle anime buone, che si può giungere a capir bene l’anima altrui! Perchè mi si tratterà di nuovo così male come fui trattata, specialmente a Milano, al tempo del mio processo? [p. 6 modifica]

Che altri dunque abbiano scritto ciò che a me soltanto sta sul cuore, è una supposizione.gratuita. A nessun altri che a me poteva frullar nel capo di ideare la mia favola. Un romanziero provetto l’avrebbe immaginata assai più vasta e più inverosimile per raggiungere l’effetto francese. Ce n’era la stoffa! Io, che non avevo che uno scopo modesto, mi sono accontentata di questo.

M’hanno domandato:

— Perchè scrivere un romanzo, mentre potevate darci le vostre Memorie, che sarebbero state immensamente più utili ed istruttive?

Io non so bene ancora se questo verranno poi. Queste io certamente non mi sentirei di scriverle: ma c’è chi torse le raccoglierà per me.

Intanto accontentatevi di questo primo libro; al quale, se farete buon viso, aggiungerò ben presto la seconda parte, che spero non sarà meno interessante di quella che vi sta fra le mani.

Emma Ivon.

Dal Teatro Fossati, 25 aprile 1883.