Prose della volgar lingua/Libro terzo/VI
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Le voci poi, che sono del neutro nel latino, e io dissi nel volgare non aver proprio luogo, l’articolo e il fine di quelle del maschio servano nel numero del meno. In quello del piú, usano con l’articolo della femina un proprio e particolare loro fine, che è in A sempre, e altramente non giamai. Con la qual regola si vede che parlò il Boccaccio, quando e’ disse: Messo il capo per la bocca del doglio, che molto grande non era, e, oltre a quello, l’uno delle braccia con tutta la spalla; e non disse l’una delle braccia o altramente. Né dico io ciò, perché tutti quelli nomi, che sono nel latino neutri, usino di sempre cosí fare nel toscano, che no ’l fanno; con ciò sia cosa che moltissimi di loro la terminazione e l’articolo delle voci del maschio ritengono in amendue i numeri, sí come sono il Regno, il Segno, il Tormento, il Sospiro, il Bene, il Male, il Lume, il Fiume, e i Regni, i Segni, i Tormenti, i Sospiri, i Beni, i Mali, i Lumi, i Fiumi. Ma dicolo perciò che qualunque voce si dice neutralmente nel numero del piú nella nostra lingua, ella quel tanto a differenza dell’altre usa e serva continuo, che io dissi: le Fila, le Ciglia, le Ginocchia, le Membra, le Fata, le Peccata, e quella che una volta usò il Petrarca neutralmente nel sonetto, che ieri messer Federigo ci recitò,
Di vaga fera le vestigia sparse.
Il che aviene ancora di molte di quelle voci, che maschiamente si dicono nel latino, le Dita, le Letta, le Risa, e simili; come che elle vie piú tosto della prosa siano, che del verso. Di queste e di quelle voci, se molte eziandio maschiamente si dicono, i Letti, i Diti, i Vestigi, i Peccati, è ciò piú tosto da altre lingue tolto, che egli natía forma sia di quella della mia città; il che da questo veder si può, che egli è piú tosto uso del verso che della prosa, e degli ultimi poeti che de’ primieri: e ultimo chiamo il Petrarca, dopo ’l quale non si vede gran fatto che sia veruno buon poeta stato infino a’ nostri tempi. Quantunque gli antichi Toscani un altro fine ancora nel numero del piú, in segno del loro neutro, assai sovente usarono nelle prose, e alcuna volta nel verso; sí come sono Arcora Ortora Luogora Borgora Gradora Pratora e altri. Né solamente i piú antichi, o pure Dante, che disse Corpora e Ramora, dalla qual voce s’è detto Ramoruto; ma il Boccaccio ancora, che nelle sue novelle e Latora e Biadora e Tempora disse.