Prose della volgar lingua/Libro terzo/LXXVI

Terzo libro – capitolo LXXVI

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Dicesi Quando che sia Come che sia Che che sia, e vagliono, l’una quanto vale A qualche tempo, e l’altra quanto vale A qualche modo e dissesi alcuna volta ancora cosí: In che che modo si sia; la terza tanto è a dire, quanto Ciò che si voglia, che si disse eziandio Che vuole dal Boccaccio nelle sue ballate:

E che vuol se n’avenga.

Vale ancora molto spesso quanto Alcuna cosa. Leggesi, oltre a queste, una cotal maniera di voci: Carpone, quello dimostrante, che è l’andare co’ piedi e con le mani, sí come sogliono fare i bambini che ancora non si reggono, formata dallo andar la terra carpendo, cioè prendendo, dal Petrarca detta; e Boccone e Rovescione, che sono l’una il cadere innanzi, detta dallo andare a bocca china, o pure lo stare con la bocca in giú, l’altra il cadere o stare rovescio e supino; e Tentone, che è l’andare con le mani innanzi a guisa di cieco, o come aviene quando altri è nel buio, detta dal tentare che si fa, per non percuotere in che che sia; e Brancolone, che è l’andare con le mani chinate, abbracciando e pigliando; e Frugone, frugando e stimolando; e Cavalcione, che è lo star sopra uomo o sopra altro, alla guisa che si fa sopra cavallo; e Ginocchione, che quello che ella vale assai per sé fa palese. È oltre a queste Supin, che disse Dante nel suo Inferno, in vece di dire Supinamente:

Supin giaceva in terra alcuna gente.