Prose (Foscolo)/I - Scritti vari dal 1796 al 1798/IV. Articoli vari pubblicati nel Monitore italiano/3. A S. Rossi

3. A S. Rossi

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III

A S. Rossi.

Tu colla tua lettera denunciasti al Gran Consiglio gli abusi del potere esecutivo: il Gran Consiglio, onde animare gli uomini liberi ad annunziar francamente la veritá, decretò sul tuo scritto menzione onorevole.

Frattanto il Direttorio esige istantemente le prove delle tue accuse; e tu non rispondi? Il capitano di giustizia ti cita ai tribunali; e tu fuggi? Si fanno delle perquisizioni per riconoscerti; e il tuo nome è ignoto tuttora?

Se dicesti veritá, perchè ti nascondi? se menzogna, perché inviarla al corpo legislativo? In qualunque modo, se non comparisci a sostenere le tue asserzioni, sarai tacciato o di viltá o di calunnia.

Sei tu forse uno di coloro, che con libere tinte dipingono le calamitá della repubblica per disgustare il popolo dalla libertá? O tenti di accendere la discordia fra la potestá legislativa ed esecutiva? Le tue trame cadranno vane. Il popolo conosce oggimai che i danni presenti sono piú un avanzo dell’antica tirannide che un effetto de’ novelli principi: questa cognizione lo guida a smascherare la perfidia degli aristocrati, suoi antichi e naturali nemici. D’altronde, il potere esecutivo si rimarrá sempre fedelmente sommesso alle leggi della sovranitá popolare, trasfusa ne’ legislatori.

Non niego che il Direttorio cisalpino non sia abbagliato dalla novella possanza; non niego che egli non conosca la veritá, perché i timidi, i traditori e gli schiavi sanno o mascherarla o tacerla; non niego che piú volte ei non s’abbia mostrato inesperto nella scienza del governo: ma queste son colpe da ritorcersi piú ai tempi che agli uomini, piú alle passioni dell’uomo abituato alla schiavitú che alla non retta intenzione di un ministro del popolo.

Né voglio assicurare d’altronde che il pubblico patrimonio non sia tuttora dilapidato da que’ che abborrono gli aristocrati, [p. 22 modifica] perché occupavano il seggio che volevano essi occupare: né mi assumo di difendere chi, dovendo punire i violatori delle leggi, non arrossisce di violarle egli stesso. L’uomo, conoscitore sagace delle cose morali, s’avvede che colui, il quale era povero un mese fa, non può divenire ad un tratto opulento senza essere scellerato. Ma le morali veritá non possono tutte confermarsi per mezzo di prove legali; e lo stesso delitto deve percorrere un dato corso, dopo il quale soltanto può essere conosciuto e represso.

Ma, s’io avessi prove legali delle accuse che tu presentasti contro il Direttorio, né terror di potere, né estimazione di meriti personali, né particolari doveri, ove a sorte n’avessi, m’avrebbono rattenuto dall’accusare in faccia alla costituzione il Direttorio e di reclamare altamente la sua punizione.

Che se tu, avendo siffatte prove, fosti compreso da un tremore indegno di chi scrive con repubblicana fierezza, io ti scongiuro in nome del pubblico bene a commetterle nelle mie mani. Ove tu il chieda, ti giuro alto segreto. Io mi estimerò traditore se non saprò profittarne. Il Direttorio sará da me legalmente accusato.

Ogni ritardo si ritorce in danno: il popolo diffida, e le potestá s’occupano piú a vegliar l’una sull’altra che a soccorrere ai bisogni della repubblica. Al contrario, opprimendo giustamente un’autoritá costituita, il popolo acquista piú di forza morale, perché piú facilmente s’avvede della propria possanza, che si trasfonde nel vigor della legge, emanata da’ suoi rappresentanti.

Ma, se mentisti, non sarai a lungo celato. Gli uomini liberi ti scuopriranno ben presto, il tuo nome diverrá infame, il tuo capo sará sacrificato sull’altare della veritá a perpetuo terrore de’ calunniatori.