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iv - dal «monitore italiano» 21


III

A S. Rossi.

Tu colla tua lettera denunciasti al Gran Consiglio gli abusi del potere esecutivo: il Gran Consiglio, onde animare gli uomini liberi ad annunziar francamente la veritá, decretò sul tuo scritto menzione onorevole.

Frattanto il Direttorio esige istantemente le prove delle tue accuse; e tu non rispondi? Il capitano di giustizia ti cita ai tribunali; e tu fuggi? Si fanno delle perquisizioni per riconoscerti; e il tuo nome è ignoto tuttora?

Se dicesti veritá, perchè ti nascondi? se menzogna, perché inviarla al corpo legislativo? In qualunque modo, se non comparisci a sostenere le tue asserzioni, sarai tacciato o di viltá o di calunnia.

Sei tu forse uno di coloro, che con libere tinte dipingono le calamitá della repubblica per disgustare il popolo dalla libertá? O tenti di accendere la discordia fra la potestá legislativa ed esecutiva? Le tue trame cadranno vane. Il popolo conosce oggimai che i danni presenti sono piú un avanzo dell’antica tirannide che un effetto de’ novelli principi: questa cognizione lo guida a smascherare la perfidia degli aristocrati, suoi antichi e naturali nemici. D’altronde, il potere esecutivo si rimarrá sempre fedelmente sommesso alle leggi della sovranitá popolare, trasfusa ne’ legislatori.

Non niego che il Direttorio cisalpino non sia abbagliato dalla novella possanza; non niego che egli non conosca la veritá, perché i timidi, i traditori e gli schiavi sanno o mascherarla o tacerla; non niego che piú volte ei non s’abbia mostrato inesperto nella scienza del governo: ma queste son colpe da ritorcersi piú ai tempi che agli uomini, piú alle passioni dell’uomo abituato alla schiavitú che alla non retta intenzione di un ministro del popolo.

Né voglio assicurare d’altronde che il pubblico patrimonio non sia tuttora dilapidato da que’ che abborrono gli aristocrati,