Primi poemetti/Il vischio
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IL VISCHIO
Non ti ricordi più, dunque, i mattini
meravigliosi? Nuvole a’ nostri occhi,
3rosee di peschi, bianche di susini,
parvero: un’aria pendula di fiocchi,
o bianchi o rosa, o l’uno e l’altro: meli,
6floridi peri, gracili albicocchi.
Tale quell’orto ci apparì tra i veli
del nostro pianto, e tenne in sè riflessa
9per giorni un’improvvisa alba dei cieli.
Era, sai, la speranza e la promessa,
quella; ma l’ape da’ suoi bugni uscita
12pasceva già l’illusïone; ond’essa
fa, come io faccio, il miele di sua vita.
Una nube, una pioggia... a poco a poco
tornò l’inverno; e noi sentimmo chiusi,
16per lunghi giorni, brontolare il fuoco.
Sparvero i bianchi e rossi alberi, infusi
dentro il nebbione; e per il cielo smorto
19era un assiduo sibilo di fusi;
e piovve e piovve. Il sole (onde mai sorto?)
brillò di nuovo al suon delle campane:
22tutto era verde, verde era quell’orto.
Dove le branche pari a filigrane?
Tutti i pètali a terra. E su l’aurora
25noi calpestammo le memorie vane
ognuna con la sua lagrima ancora.
Ricordi? Io dissi: “O anima sorella,
vivono! E tu saprai che per la vita
29si getta qualche cosa anche più bella
della vita: la sua lieve fiorita
d’ali. La pianta che a’ suoi rami vede
32i mille pomi sizïenti, addita
per terra i fiori che all’oblìo già diede...
Non però questa (io m’interruppi) questa
35che non ha frutti ai rami e fiori al piede„
Stava senza timore e senza festa,
e senza inverni e senza primavere,
38quella; cui non avrebbe la tempesta
tolto che foglie, nate per cadere.
Albero ignoto! (io dissi: non ricordi?)
albero strano, che nel tuo fogliame
42mostri due verdi e un gialleggiar discordi;
albero tristo, ch’hai diverse rame,
foglie diverse, ottuse queste, acute
45quelle, e non so che rei glomi e che trame;
albero infermo della tua salute,
albero che non hai gemme fiorite,
48albero che non vedi ali cadute;
albero morto, che non curi il mite
soffio che reca il polline, nè il fischio
51del nembo che flagella aspro la vite...
ah! sono in te le radiche del vischio!
Qual vento d’odio ti portò, qual forza
cieca o nemica t’inserì quel molle
55piccolo seme nella dura scorza?
Tu non sapevi o non credevi: ei volle
ti solcò tutto con sue verdi vene,
58fimo si fece delle tue midolle!
E tu languivi; e la bellezza e il bene
t’uscìa di mente, nè pulsar più fuori
61gemme sentivi di tra il tuo lichene.
E crebbe e vinse; e tutti i tuoi colori,
tutte le tue soavità, col suco
64de’ tuoi pomi e il profumo de’ tuoi fiori,
sono una perla pallida di muco.
Due anime in te sono, albero. Senti
più la lor pugna, quando mai t’affisi
68nell’ozïoso mormorio dei venti?
Quella che aveva lagrime e sorrisi,
che ti ridea col labbro de’ bocciuoli,
71che ti piangea dai palmiti recisi,
e che d’amore abbrividiva ai voli
d’api villose, già sè stessa ignora.
74Tu vivi l’altra, e sempre più t’involi
da te, fuggendo immobilmente; ed ora
l’ombra straniera è già di te più forte,
77più te. Sei tu, checchè gemmasti allora,
ch’ora distilli il glutine di morte.