CLXVIII

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CLXVIII.


Chì può negar, che quel soave umore
     Che l’una lingua trae dall’altra, quando
     Si stà l’uomo e la femmina abracciando,
     4Non sia gioire all’uno e all’altro core?
E quello star per lunghe assai dimore
     E bocca a bocca, e labbri a labbri urtando,
     È altro ch’andar l’anime serrando,
     8Che di dolcezza non se n’escan fuore?
E quel dolce mormorío ad udire,
     Puossi egli chiamar altro ch’un volere
     11Della dolcezza insieme conferire?
Or, se ’l suggere un cazzo sia piacere
     Maggiore, e vuommi alcuno contradire,
     14Dica mò l’Aretino il suo parere.