Polemiche relative al De antiquissima italorum sapientia/IV. Seconda risposta del Vico

IV. Seconda riposta del Vico

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III. Secondo articolo del Giornale de' letterati d'Italia IV. Seconda risposta del Vico - I. Della condotta dell'opera

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IV

Io mi reputo favorito molto ed egualmente onorato dalla replica, che le Signorie Vostre illustrissime nell’articolo decimo del tomo ottavo del Giornale de’ letterati d’Italia hanno scritto contro alla Risposta , che io mandai fuora in difesa della metafisica contenuta nel mio primo libro De antiquissima Ilalorutn sapíentia ex linguae Latinae originibus emenda. Imperciocché, avendo io questa indrizzato ad un dotto signore anonimo, per dimostrare che io voleva difender me, non giá dar briga a voi; ché, quantunque gli esempi di ciò sieno spessi e molti in Francia, in Olanda, in Germania, non volea io però esser il primo a darlo in Italia con voi, i quali tanto bene meritate delle lettere italiane, per dubbio non gli altri, seguendolo, attaccassero contese, se giammai si sentissero poco soddisfatti de’ vostri rapporti e giudizi ; e perché non sapea di certo qual signore di voi avesse concepito l’estratto di quel mio libricciuolo, e, anche avendolo di certo saputo, per vostro e suo riguardo non l’avrei né men fatto, perché non è lecito di scovrire chi vuole star nascosto, e molto meno chi lo deve, per non ferire la libertá, che bassi a lasciar intiera ad un ordine di uomini che sostengono persona di storici veritieri e di giudici spassionati de’letterati viventi: con tutto ciò, voi, per vostra bontá, non avete voluto, come per ragion potevate, che l’anonimo stesso privatamente confutasse la mia Risposta-, ma tutta la vostra ragunanza, cioè adire una universitá di letterati uomini, con la favella comune del vostro [p. 240 modifica]

Giornale , avete favorito rispondere, e si farmi degno in un certo modo (quando io non lo sono, né ho ardito, né poteva ardire pretenderlo) di starvi a petto e del pari. Mi ha recato maraviglia però ciò che sul principio scrivete (p. 223): «che io mi sia aggravato ed offeso da chi distese l’estratto, e che troppo acerbamente mi sia doluto di alcune picciole cose, che da voi con tutta modestia mi vengono opposte». Tanto è lontano dal vero che io sia di cotal natura o feroce o delicata, non mi so dire, che, avendo io letto quell’articolo, mi sentii pungere invero da un qualche leggiero stimolo di passione: ma, perché l’amor proprio allora piú ci è nemico quando piú ci lusinga, non volli ascoltarla sola; ma, portatomi dal signor Matteo Egizio, che trascelsi tra tutti, perché piú di tutti il conosceva ben affetto alla vostra assemblea, il domandai, avendoglielo dato a considerare, che esso farebbe, se cosi fossesi scritto d’opera sua; ed egli, uomo altrimente di riposatissimi affetti, risposerai che stimerebbe esser lui posto in obbligazion di rendere ragione di ciò che avrebbe scritto. Onde io, non per dolore di aggravio o di torto alcuno, ma perché non mancassi all’obbligo mio, mi determinai al difendermi. Dipoi la maniera da me usatavi, a chiunque avrá letta quella Risposta , ogni altra cosa mostra fuorché acerbezza, perché fui sempre di sentimento che le cose appartenenti alle scienze trattar si debbano con sedatissima maniera di ragionare, ed appresso di me è grave argomento esser nulla o poco vere le cose, ove si sostengono con istizza e con rabbia, ed osservo tuttavia ne’ costumi che chi ha potenza non minaccia e chi ha ragione non ingiuria. Al piú al piú le filosofiche dispute, oltre a’ lavori della mente, non ammettono altro dell’animo, per ristorarsi di tempo in tempo del duro travaglio dell’intenzione, che certi piacevoli motti, i quali diano a divedere gli animi de’ ragionatori esser placidi e tranquilli, non perturbati e commossi; e, ove abbiamo a riprendere, vi entri a farlo la gravitá, con la quale possiamo pungere civilmente, non offendere da villani, accioché i filosofi, i quali contendono di cose che non soggiacciono all’appetito, si distinguano dal volgo, che difende le sue [p. 241 modifica]

cose con la compassione e con l’ira. E ciò sia generalmente detto per la difesa del mio costume. Ora passo alle cose. E mi sia lecito primieramente domandare vostra buona licenza, se io non sieguo l’ordine della replica vostra: prima, perché tener dietro con un cammino non mai interrotto alle scritture degli avversari, egli mi pare esser d’uomo pugnace, e che voglia piú tosto opprimere l’oppositore che rintracciare la veritá, alla quale non si tien dietro per ogni via, ma per quella assolutamente che permetton le cose; dipoi, perché voi medesimi me ne fate ragione, che non seguitaste l’ordine che io ho tenuto nella Risposta. Vedo la vostra replica in tutto contener quattro parti: I. una riprensione del ripartimento da me fatto della vostra censura, in confermazione del vostro detto, che in quel mio libro si esponga «una idea di metafisica, non giá una metafisica giá compita» (p. 226); II. l’opposizione delle cose che vi ho meditato (p. 226 sgg.); III. la confutazion delle origini che io adduco delle voci «verum» e «factum», «caussa» e «nego cium» , e di alquante altre (p. 232 sgg.); IV. un desiderio della condotta, che vorreste avessi io tenuto nel rintracciare l’antica filosofia degli italiani (p. 161). A me sembra dar cominciamento a rispondervi da quella parte che poneste in ultimo luogo, dalla condotta; dipoi difendermi la distribuzione che feci della vostra censura; quindi confermare l’origini delle voci; e finalmente stabilire le cose vi ho meditate: perché primo in questa impresa fu il consiglio della condotta, alla quale poi segui l’opera, e l’origini debbon precedere, che mi diedero occasione di meditare le cose.

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